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Pellai, genitori ed insegnanti devono preservare la sensibilità dei giovani quale valore educativo

Aggiornamento: 4 giorni fa

“Bambini e bambine prima, ragazzi e ragazze poi dovrebbero muoversi in un mondo che ha cura di preservare e educare la loro sensibilità, fortemente basata sulla…”

Immergendoci nella realtà giovanile subito ci balena alla mente un aspetto cruciale sul quale occorre operare un’attenta analisi ed una profonda riflessione: la sensibilità quale valore educativo.

Ad oggi gli adulti, in quanto educatori, si interrogano sul come rieducare alla sensibilità i giovanissimi senza però che quest’ultima possa divenire sinonimo di fragilità e di vulnerabilità.

Su tale aspetto Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università degli Studi di Milano, nel sui libro “Allenare alla vita”, dedica un’analisi approfondita.

La domanda che ci si pone al riguardo è quale sia la giusta misura per poter garantire la tutela degli educandi, per poter garantire loro una crescita consapevole senza esporli a pericoli che spesso mettono a repentaglio la loro più intima sfera personale.

“E noi adulti dobbiamo cercare di proteggere la sensibilità dei minori dall’eccesso e dalla violenza degli stimoli esterni, oppure dobbiamo aiutare i nostri figli a adeguarsi alla nuda e cruda realtà…?”, questo il quesito che si pone Alberto Pellai nel suo libro.

Si tratta di aspetti che richiamano alla mente la responsabilità educativa del mondo adulto.

A tal fine occorre rammentare che il concetto stesso di sensibilità si connota di sfumature differenti a seconda della fascia di età e delle proprie capacità cognitive e di discernimento.

Nella fase della preadolescenza e della prima adolescenza il cervello dei giovanissimi è in balia dei funzionamenti emotivi piuttosto che di quelli cognitivi e di conseguenza la figura del genitore e dell’insegnante, quale educatore, riveste un ruolo fondamentale e di indiscussa importanza proprio per definire qual è il limite che non bisogna oltrepassare.

Pellai ci fornisce così un esempio per comprendere fino in fondo la rilevanza della questione.

Poniamo il caso di ragazzi quattordicenni che decidano di vedere assieme un film horror vietato ai minori di 18 anni: tra tutti uno di loro potrebbe avere una sensibilità tale da non riuscire a gestire bene quello stato d’animo di paura e terrore determinato dalla visione di alcune scene particolarmente violente e così manifestare un disturbo post-traumatico, non riuscendo a riposare la notte ma anzi alimentando il suo sgomento, la sua angoscia.

“Togliere tutti i paletti e trasformare in normale ciò che invece dovrebbe essere confinato alla dimensione della trasgressione provoca, implicitamente, un innalzamento costante del punto in cui viene posizionata l’asticella di ciò che è considerato lecito e normale rispetto a ciò che invece non lo è”, sottolinea Pellai.

Sicuramente gli adulti, in quanto educatori, devono riservare un’attenzione educativa particolare a chi cresce, trasmettendo loro la sensibilità verso valori sui quali si fondano vari aspetti della vita.

Un tempo esistevano i film vietati ai minori di 14 e 18 anni, i palinsesti televisivi si caratterizzavano per le c.d. “fasce protette”, vi era un’attenzione ed una responsabilità verso i minori, una sensibilità di cui gli adulti stessi si facevano garanti.

Ad oggi ciò non è più possibile: con la diffusione di internet, infatti, i giovanissimi possono accedere facilmente a contenuti riservati ai soli maggiorenni e gli adulti sembrano essersi sottratti alla loro funzione educativa.

“Bambini e bambine prima, ragazzi e ragazze poi dovrebbero muoversi in un mondo che ha cura di preservare e educare la loro sensibilità, fortemente basata sulla caratteristica del loro apparato emotivo di lasciarsi impressionare da ciò che va “oltre la soglia”, sostiene a gran voce Pellai.

Ed è proprio l’educatore che, in quanto adulto, deve trovare il giusto equilibrio per consentire ai giovani di crescere in maniera sana e consapevole attraverso un lavoro formativo ed educativo.

Innanzitutto occorre far riferimento al concetto di fase-specificità, cioè al principio pedagogico per cui nella vita di un minore certe cose possono comparire solo nel momento in cui egli ha le competenze emotive e cognitive tali da poter gestire determinati aspetti con maturità e consapevolezza.

In secondo luogo occorre che genitori ed insegnanti siano capaci di dialogare con i giovani, stimolando il loro senso critico, non fornendo risposte ma ponendo domande.

In definitiva basta cercare sulla Treccani la definizione del termine “sensibilità”: qualcosa che conferisce a un essere vivente la capacità di “sentire” ciò che c’è nel proprio ambiente di vita, mantenendo la facoltà di venirne impressionato.

Occorre quindi ritrovare la sensibilità senza rischiare di normalizzare ciò che invece non lo è.

I giovani, attraverso un dialogo costruttivo e sviluppando un senso critico, devono quindi comprendere fino in fondo chi siano i loro veri maestri di vita, i loro punti di riferimento, senza mai lasciarsi distogliere da falsi miti, consapevoli che una maturità emotiva e cognitiva richiede sacrificio, tempo e dedizione.

di VALENTINA TROPEA




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