In una società in cui l’apparire sembra aver preso il sopravvento sull’essere, occorre soffermarsi un attimo a riflettere su come la vita dei giovanissimi...
Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università degli Studi di Milano, ci fornisce delle utili delucidazioni, ponendo l’accento sui processi educativi attuati dagli adulti nel percorso di crescita dei giovani.
“Il triangolo pedagogico, ossia il modello adottato per rappresentare le dinamiche formative, prevede che l’età evolutiva sia un tempo in cui si apprendono tre aspetti della vita: il sapere, il saper fare e il saper essere. Ciascuno di essi ha caratteristiche specifiche e un ruolo importante nella crescita dei nostri ragazzi”, così dichiara Alberto Pellai senza esitazione.
Il sapere è costituito da dati informativi, nozioni e cognizioni che contribuiscono a costituire la nostra “memoria cognitiva”: ad esempio quali sono le lettere dell’alfabeto italiano, quali sono le province della regione Puglia, chi era Giulio Cesare, e così via discorrendo. Conoscenze di base che contribuiscono a realizzare il c.d. “bagaglio culturale”, che consente di orientarsi bene anche in un mondo diverso da quello in cui ci siamo cresciuti.
Il saper fare comporta, invece, competenze applicative e operative. Il saper fare ci permette di utilizzare l’alfabeto per poter scrivere lettere o racconti, così come ci consente di utilizzare le nostre conoscenze matematiche per la gestione di un bilancio o la risoluzione di un problema.
Ma sapere e saper fare si differenziano dal saper essere.
Il saper essere corrisponde ad una competenza molto più globale e integrata. “È ciò che ci permette di abitare la vita dandole senso, riuscendo a dirigere le nostre azioni e i nostri obiettivi entro la cornice di un progetto esistenziale in cui cerchiamo l’autorealizzazione”, sottolinea Pellai in maniera chiara e dettagliata.
In tal modo riesco ad avere piena consapevolezza di me stesso, imparando a conoscere i miei punti di forza ma anche le mie fragilità, così da avere degli adeguati strumenti per poter raggiungere i miei obiettivi.
Il modello educativo che si è affermato negli ultimi anni, però, porta ad avere dei giovani pieni di sapere e di saper fare ma non detentori di saper essere, così da garantire la piena realizzazione di sé.
I genitori, sempre più presenti e pretenziosi, desiderano impegnare i propri figli in molteplici attività, ritenendo fondamentale che questi ultimi primeggino in qualsiasi ambito.
Eppure, nonostante questo, i ragazzi non sono più in grado di affrontare la solitudine, diventano estremamente fragili e vulnerabili, incapaci di gestire le emozioni contrastanti e le difficoltà che si verificano durante il loro percorso di crescita.
In definitiva sapere e saper fare non si traducono in un reale saper essere che fornisca loro la capacità di sentirsi felici di ciò che sono.
Si pensi, ad esempio, ai “primi della classe”: si tratta di ragazzi che hanno sempre primeggiato a scuola, raggiungendo risultati eccellenti e basando la loro esistenza sullo studio, modellando la vita in base a ciò che i genitori si aspettano da loro e aderendo al copione dell’obbedienza.
Tuttavia, ciò che si nota è che sono proprio questi ragazzi, i “primi della classe”, a sentirsi eccessivamente sotto pressione, così da ritrovarsi in preda alla c.d. “ansia da prestazione”, che rappresenta uno stato di tensione che permette di affrontare gli ostacoli con maggiore concentrazione; questo, però, solo se direzionata bene, in caso contrario diventa troppa e travolge tutto, creando problemi rilevanti.
Si è così tanto sotto pressione, si ha così tanta paura di non raggiungere i risultati sperati, che ci si blocca ed è un po' come se si imparasse che nella vita non si può sbagliare. L’ansia da performance finisce con il riguardare non una singola prova, ma l’intera identità.
“È invece fondamentale integrare il valore pedagogico dell’errore nel percorso di crescita, per evitare che quando qualcuno sbaglia, invece di dire ho fatto uno sbaglio, si trovi a pensare sono diventato sbagliato. Perché lì tutto rischia di frantumarsi”, ribadisce Pellai a gran voce.
Ecco allora il ruolo degli educatori, genitori ed insegnanti, che devono essere in grado di dare fiducia, di credere nei giovani, senza imposizioni o pretese, ma permettendo loro di autodeterminarsi, scegliendo, giorno dopo girono, chi si vuole diventare. Quindi non un’educazione finalizzata alla dimensione performativa ma un’educazione che favorisca, nell’età evolutiva, lo sviluppo e la costruzione di una propria identità.
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