Prendersi cura dei giovanissimi, sostenendo la loro crescita, sembra ormai essersi trasformato in un compito estremamente difficile ed articolato, alla luce di quel rapporto conflittuale che si instaura...

Ritrovare la bussola per orientare il proprio progetto educativo appare la preoccupazione principale in una società spesso troppo distratta ed incapace di sostenere adeguatamente la crescita delle nuove generazioni.
Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università degli Studi di Milano, attraverso una riflessione accurata, coglie l'occasione per commentare la serie TV "Adolescence", analizzando dettagliatamente il rapporto che si instaura tra genitori e figli, alla luce della necessità di una "genitorialità rinnovata".
'' 'Mi dispiace ragazzo. Avrei potuto fare di meglio'. È questa la frase che chiude la serie 'Adolescence', composta di 4 episodi, che in questo periodo ha fatto molto discutere. L’uomo che pronuncia questa frase è il padre di Jamie, un preadolescente incarcerato perché accusato di aver ucciso una compagna di scuola. La serie mette a fuoco la necessità di una paternità rinnovata. E più in generale, di una genitorialità rinnovata.
La storia ci mostra un padre confuso, che è stato un figlio confuso e che diventa padre portando nella relazione con suo figlio Jamie i propri bisogni irrisolti. 'Adolescence' mette in scena tutta la fatica della genitorialità contemporanea, allontanatasi dal modello delle generazioni precedenti, ma incapace di generarne uno nuovo, capace di sostenere la crescita in un tempo che della crescita non ha alcuna cura. Si vedono ragazzi affamati di validazione attraverso la modalità ingannevole della comunicazione proposta dai social media.
I preadolescenti vengono raccontati come soggetti narcisisticamente fragili alla ricerca di un rispecchiamento esterno che dia loro valore e che confermi precocemente un’identità che non può darsi il tempo di attendere la maturità piena per definirsi. Si ha la percezione che il dramma di Jamie non sia solo suo, ma di un’intera generazione, costretta a fare tutto troppo presto e cresciuta da adulti confusi che non hanno saputo trovare la bussola per orientare il proprio progetto educativo in un tempo abitato dal disorientamento collettivo.
C’è un vuoto etico, c’è una mancanza di empatia che trasforma il tempo della vita in un tempo di conflitto dove invece che allearsi, ci si trova ad essere tutti contro tutti. Credo che questa serie faccia tanto parlare, perché obbliga noi adulti a riflettere partendo dalla domanda 'Dove ci siamo persi?'. Il film non dà una risposta semplice, perché mostra una complessità di fattori alla radice di quel senso di confusione oggi pandemico, portandoci ad empatizzare con il padre di Jamie, quando nella scena finale, piange lacrime di dolore a fianco dell’orsacchiotto di suo figlio. Quel figlio che ha dormito avendo un orsacchiotto appoggiato sul cuscino del letto la notte prima dell’alba in cui è stato prelevato e portato in carcere per omicidio. Dormire stringendo un orsacchiotto, dopo aver ucciso una coetanea a coltellate: il paradosso della crescita oggi sta tutto in questa contraddizione. Figli ancora piccolissimi che fanno le peggio cose del mondo adulto. Mentre noi genitori, confusi e disorientati, li perdiamo di vista. È proprio questo ciò che dichiara il papà: 'Il problema è che ho perso di vista mio figlio '. Ma forse il problema principale è che noi adulti abbiamo perso di vista il nostro ruolo di adulti. 'Adolescence' ti turba come raramente accade. Ma è un turbamento che fa riflettere. Per questo lo consiglio. Può essere visto anche insieme ai propri figli adolescenti, a partire dai 17 anni, come lo stesso 'age rating' del film consiglia. Forse può anche essere vista con 15enni e 16enni, purchè in co-visione, permettendogli così di diventare occasione per parlare insieme degli infiniti spunti di discussione che la trama offre", queste la significativa riflessione di Alberto Pellai.
Prendersi cura dei giovanissimi, sostenendo la loro crescita, sembra ormai essersi trasformato in un compito estremamente difficile ed articolato, alla luce di quel rapporto conflittuale che si instaura tra genitori e figli e che spinge tutti contro tutti.
Gli adulti sembrano aver perso di vista il loro ruolo di educatori, trascurando i giovanissimi che rivendicano una propria identità troppo precocemente, privandosi del loro giusto tempo per poter agire consapevolmente e responsabilmente, spesso troppo fragili ed insicuri.
Gli adulti, pertanto, nella veste di educatori, devono sostenere la crescita dei giovani ritrovando la bussola che gli consenta di orientare il progetto educativo nella giusta direzione, attraverso empatia senza però perdere la loro autorevolezza, fungendo da guida e permettendo agli adolescenti di crescere senza troppa fretta di diventare grandi, bruciando le tappe e così privandosi della loro semplicità e spensieratezza.
di VALENTINA TROPEA