A oggi però un altro fattore influisce sulla crescita dei giovanissimi: facciamo riferimento al mondo virtuale. Relazioni virtuali e reali si intersecano tra loro e ci si chiede se il cervello in età evolutiva possa...
Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università degli Studi di Milano, nel suo libro “Allenare alla vita”, ci fornisce un’attenta disamina riguardante la stretta correlazione esistente tra i giovani ed il mondo virtuale.
Si pensi, ad esempio, alla crescita mentale ed allo sviluppo cognitivo del cervello dei bambini prima e adolescenti poi: si tratta di un fenomeno complesso e sicuramente estremamente delicato.
“Si nasce con una dotazione che ci permette di dare forma al nostro cervello nel modo più raffinato, bello, creativo e intelligente che si possa immaginare. Ma perché questo avvenga, il lavoro che deve essere svolto è lungo. Occorre che gli adulti ne siano coprotagonisti e forniscano al bambino prima e all’adolescente poi tutto ciò che serve perché la maturazione della mente possa compiersi e stabilizzarsi”, così ci spiega Alberto Pellai in maniera esaustiva.
Un po' come il blocco di marmo che inizia a prender forma solo attraverso l’accurato intervento dello scultore, così il cervello, per diventare un’opera d’arte compiuta, ha a disposizione l’età evolutiva.
Il funzionamento del nostro cervello è strettamente connesso a due fattori: le relazioni e le esperienze.
Ed è proprio nei primi di anni di vita che la funzione educativa degli adulti riveste un ruolo di grande importanza: il modo in cui veniamo amati e curati comincia a dare una prima forma al nostro cervello.
Ma lo sviluppo cognitivo e soprattutto la nostra trasformazione da giovani ad adulti si verifica quando iniziamo ad approcciarci con il mondo esterno, attraverso le nostre prime esperienze di vita.
A oggi però un altro fattore influisce sulla crescita dei giovanissimi: facciamo riferimento al mondo virtuale. Relazioni virtuali e reali si intersecano tra loro e ci si chiede se il cervello in età evolutiva possa subire delle trasformazioni quando si ritrova alle prese di un mondo che non è reale ma solo digitale.
Proprio per garantire il benessere psicofisico dei giovanissimi, sarebbe dunque necessaria una risposta univoca da parte degli educatori, insegnanti e genitori, così da porre rimedio ad un fenomeno dilagante e spesso molto insidioso per le nuove generazioni.
UN MONDO DIVISO IN DUE?
In realtà negli ultimi quindici anni la tendenza è stata opposta e così ci si è spaccati in due: da un lato i c.d. “tecnoentusiasti”, che hanno preso coscienza del fatto che il nostro mondo sarà sempre più connesso e virtuale e quindi, nonostante i rischi che possano corrersi, hanno deciso di educare i giovanissimi a fare buon uso della tecnologia, così da creare una generazione smart; dall’altro lato, invece, i c.d. “tecnoscettici” si sono posti il problema delle conseguenze negative che le nuove tecnologie possono determinare nella vita dei ragazzi in termini di crescita e di sviluppo cognitivo e così hanno cercato di porre dei limiti riguardanti l’utilizzo di alcuni strumenti.
Negli ultimi decenni, anche e soprattutto a causa dell’emergenza generata dal Covid, si è cercato di investire molte risorse volte a dotare le scuole di device e strumenti che facilitassero la “virtualizzazione/digitalizzazione dei processi di apprendimento” ed allora ci si chiede se tale processo abbia finito col generare dei benefici o al contrario abbia determinato solo degli effetti negativi.
“Gli studi sull’alfabetizzazione lessicale e sulla comprensione dei testi, così come le valutazioni Invalsi che tendono a misurare in modo oggettivo gli apprendimenti nelle differenti fasi dell’esperienza scolastica dei minori, rivelano una costante diminuzione di tali competenze. Questo a fronte del crescente e sempre più precoce ricorso all’utilizzo di strumenti digitali nella vita dei minori”, sottolinea Pellai nell’ambito della sua disamina.
Al contempo i pediatri hanno registrato un aumento vertiginoso dei casi di miopia in età infantile ma anche di disturbi specifici dell’apprendimento, iperattività e deficit di attenzione, così come sono aumentati sovrappeso ed obesità fra i giovanissimi; senza dimenticare la sindrome del ritiro sociale sviluppatasi fra gli adolescenti, correlata ai disturbi d’ansia e depressivi che si stanno registrando negli ultimi tempi.
Si tratta di un “eccesso di virtualità”: ed allora ci si chiede cosa sia successo a quei ragazzi che da “nativi digitali” si sono trasformati in “natanti digitali”, cioè esseri umani che sono così immersi nel mondo virtuale da non riuscire più a comprendere quale sia la linea di demarcazione tra reale e virtuale.
In particolar modo ci si chiede se virtuale è reale e a tale domanda possiamo rispondere negativamente.
I giovani, nei primi anni della loro vita, hanno bisogno di crescere in maniera sana, giocando all’aperto, rimanendo a contatto con la natura, socializzando con i compagni, studiando assieme, e questo facilita lo sviluppo delle loro capacità cognitive e dei loro processi evolutivi e di apprendimento; viceversa, muovendosi in territori virtuali, tutte queste abilità verranno depotenziate e non si struttureranno in modo adeguato.
“Tuttavia già nei primissimi mesi di vita si assiste al c.d. allattamento digitale, con riferimento ai bambini che durante il tempo dell’allattamento rivolgono il proprio sguardo verso lo stesso schermo su cui l’adulto che li tiene in braccio per nutrirlo sta facendo scrolling e attività all’interno dei social”, così sottolinea Pellai, ribadendo la delicatezza di un problema assai rilevante.
Ecco allora il ruolo degli adulti, insegnanti e genitori, che devono distogliere i giovani da tutto ciò che appare luccicante, divertente, piacevole e gratificante, così da indirizzarli verso una crescita consapevole, consci che l’apprendimento richieda tempo, pazienza, sacrificio e dedizione e che non possa realizzarsi in una società eccessivamente smart, nella quale però lo sviluppo delle capacità cognitive e di apprendimento non riesce a trovare un’adeguata collocazione.
di VALENTINA TROPEA