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Pellai, crescere figli empatici capaci di costruire relazioni sane e profonde attraverso l’esperienza viva del “Noi” ( esempi di come educare all'empatia )

Pellai ribadisce l’importanza dell’interdipendenza, della cura reciproca e dell’altruismo come fondamenta della felicità umana. Educare all’empatia è uno stile di vita. È scegliere, ogni giorno, di essere presenti, autentici, umani...

Nell’epoca dell’individualismo e dell’autoreferenzialità, lo psicoterapeuta, medico e scrittore Alberto Pellai ci invita a riscoprire un valore fondamentale e spesso dimenticato: la capacità di “de-centrarsi”, ovvero di spostare lo sguardo da sé agli altri, per costruire legami autentici e solidi.

Nell’intervista con Sveva Sagramola, durante la trasmissione andata in onda su Rai3, Pellai ha posto al centro della riflessione educativa un concetto chiave: il passaggio dalla dimensione dell’“Io” a quella del “Noi”. “Se c’è una cosa che oggi serve al mondo, quella cosa si chiama ‘de-centramento’ e capacità di aprirsi alla dimensione del ‘Noi’."

Pellai pone grande attenzione al ruolo dei genitori ed educatori in questo processo: non si tratta solo di trasmettere valori a parole, ma soprattutto di testimoniarli nella vita quotidiana. I bambini imparano osservando e assorbendo i comportamenti degli adulti. Per questo motivo è fondamentale che madri, padri, insegnanti ed educatori dimostrino con i fatti come si costruisce la relazione con l’altro.


A tal proposito l’esperto afferma: “La prima regola da seguire è questa: affinché i nostri figli possano pensarsi persone capaci di costruire la dimensione del “noi”,  devono fare esperienza di genitori – ed educatori in genere – che sanno testimoniare l’importanza e mostrare come si fa, con l’esempio diretto”.

In un mondo in cui spesso si incoraggia l’autonomia come sinonimo di distacco, Pellai ribadisce invece l’importanza dell’interdipendenza, della cura reciproca e dell’altruismo come fondamenta della felicità umana.

L’intervista, andata in onda a ridosso della Pasqua, ha offerto anche l’occasione per una riflessione più ampia: le festività possono diventare un’opportunità per rigenerare la nostra umanità. Pellai invita tutti noi ad approfittare di questi momenti per rallentare, riconnetterci ai nostri valori e curare le relazioni.


L’invito di Pellai è chiaro: per crescere figli empatici, capaci di costruire relazioni sane e profonde, dobbiamo prima essere noi adulti a incarnare questi valori. Solo attraverso l’esperienza viva del “Noi”, i bambini e i giovani potranno interiorizzare la bellezza della connessione con l’altro. E così, educando alla relazione, potremo sperare di costruire una società più giusta, coesa e umana.


Non c’è manuale che tenga, i bambini e i giovani imparano ciò che vivono. E se desideriamo che crescano empatici, capaci di relazioni profonde e autentiche, dobbiamo essere noi adulti a mostrare loro, ogni giorno, come si coltiva il legame con l’altro.

Pensiamo a una scena semplice: una famiglia riunita a tavola. Il cellulare è spento, gli sguardi si incrociano, si parla della giornata, si ride insieme. In quel momento non si stanno solo condividendo pasti, ma anche presenza, ascolto, vicinanza. È lì che il bambino o il giovane percepisce che “essere con” qualcuno ha un valore, e lo interiorizza.

Oppure immaginiamo due adulti – magari mamma e papà – che non sono d’accordo su una decisione. Invece di urlare o ignorarsi, scelgono di parlarsi, di ascoltarsi, cercando un punto d’incontro. Il bambino osserva in silenzio e capisce: il conflitto non è un pericolo, è una possibilità per crescere insieme.

Non servono grandi gesti. Basta che un genitore, tornando a casa stanco, dica: “Oggi è stata una giornata dura, ma sono felice di essere qui con voi”. Con quella frase, il bambino impara che le emozioni si possono nominare, condividere, e che farlo rafforza i legami.

Educare all’empatia non è un programma da seguire. È uno stile di vita. È scegliere, ogni giorno, di essere presenti, autentici, umani. Perché solo vivendo il “Noi”, i bambini potranno scoprire la bellezza della connessione con l’altro. E da lì, forse, inizierà il cambiamento verso una società più giusta, coesa e profondamente umana.

di NATALIA SESSA






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