"Troppo spesso, oggi, noi genitori trattiamo i nostri figli come blocchi di marmo, di cui noi vogliamo essere scultori, lavorando ogni giorno di..."
Questo mese Valeria Balocco, giornalista di MarieClaire.it ha chiesto ad Alberto Pellai di scrivere la lettera del mese rivolta ai genitori del Terzo Millennio. A seguire un estratto con alcuni passaggi della lettera di Pellai, che è presente in forma completa sul settimanale: "Cari genitori, i nostri figli sono la più grande occasione che la vita ci ha fornito per trasformarci ed evolverci. Vengono al mondo e ci obbligano a costruire un ponte tra la storia da cui veniamo e quella verso cui ci muoviamo. Si dice che i genitori fanno nascere un figlio. Ma la verità è che quello stesso figlio prende per mano due adulti e con la sua vita li fa nascere genitori. La sfida più grande per noi genitori del terzo millennio è questa: non soffocarli con quell’eccesso di ansia e aspettative che ci contraddistingue.
Non limitare il loro desiderio di infinito e di scoperta, chiudendoli della gabbia dell’iper protezione, spingendoli verso la trappola dell’eccesso di performatività e di richiesta di perfezionismo. Lasciare che facciano le loro prove di volo, che sfidino la forza di gravità con cui a volte la vita li spinge verso terra proprio mentre stanno provando a toccare il cielo con un dito. Saper stare un passo indietro, dare loro una spinta, fare il tifo per loro senza occupare i loro spazi o obbligarli ad adeguarsi alle nostra aspettative invece che ai loro desideri, mi ha spesso regalato l’emozione – bellissima – della sorpresa e dello stupore.
Imparare a coltivare il desiderio vuol dire aiutarli a non avere paura di fare i grandi salti con cui la vita ti chiede di metterti alla prova e di diventare grande. Per noi genitori vuol dire essere giardinieri e non scultori. Ovvero lasciare che un seme diventi fiore, avendo cura del terreno in cui lo abbiamo seminato. Mentre troppo spesso, oggi, noi genitori trattiamo i nostri figli come blocchi di marmo, di cui noi vogliamo essere scultori, lavorando ogni giorno di cesello e scalpello, perché abbiano la forma perfetta che noi abbiamo in mente e alla quale gli chiediamo di aderire. Sperando che il desiderio che noi abbiamo per loro, coincida con il desiderio che loro dovrebbero avere per se stessi. È questo l’autogol di cui non dobbiamo mai diventare autori: farli diventare ciò che noi vogliamo che siano. Perché un figlio ci chiede una sola cosa: aiutami a diventare chi davvero io voglio essere".