"C’è un grande dibattito su come deve essere la genitorialità nel terzo millennio. Penso che essa debba rigenerarsi nella conquista di un'autorevolezza che oggi è merce rara e al tempo stesso di..."

Non è semplice, sin dal principio, comprendere bene come svolgere la funzione di educatore, in qualità di insegnante o di genitore. Alle volte gli adulti percepiscono un vero e proprio senso di inadeguatezza, un po' come se non fossero all'altezza di svolgere quella importantissima funzione educativa. Spesso il gap generazionale rende il rapporto intercorrente tra genitore e figlio come estremamente conflittuale ed il dialogo sembra essere carente o insufficiente, venendo meno così la comunicazione e la comprensione reciproca.
A tal fine Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università degli Studi di Milano, riporta alcuni versi tratti da un suo scritto e così coglie l'occasione per esprime il suo pensiero in merito.
"E tu mi riprendi e mi dici di no
Allora mi metto a fare il ribelle
Combino un milione di marachelle.
Tu ti avvicini a hai lo sguardo accigliato
Capisco che forse ho esagerato.
In me nasce allora una gran confusione
Non so dove andare, mi viene il magone.
Ci provo una volta ancora a far finta
Che non sei arrabbiato e me la dai vinta
In un tentativo maldestro e abbozzato
Ti dico «Cattivo, il tuo bimbo è arrabbiato».
Mi guardi negli occhi con calma e fermezza,
così la tempesta si trasforma in brezza
La mia rabbia si placa dentro il tuo sguardo
ora sono un gattino e non più un leopardo.
Mi hai fatto capire che un limite c’è
L’erba voglio cresce solo nel prato del re
Capisco che la tua calma fermezza
Mi insegna a volte più di una carezza
Mi fa ritrovare la strada maestra
Bloccando l’azione sbagliata e maldestra.
Papà ogni tanto – non sempre però –
Continua ad amarmi dicendomi no".
(Tratto da "Nella pancia del papà" di A.Pellai, Salani ed. 2025)
"C’è un grande dibattito su come deve essere la genitorialità nel terzo millennio. Penso che essa debba rigenerarsi nella conquista di un'autorevolezza che oggi è merce rara e al tempo stesso di un'affettività e disponibilità emotiva centrata però più sulle competenze adulte che su quelle che si presume il bambino possieda. Spesso mi accorgo che i genitori chiedono al bambino qualsiasi cosa inerente la sua educazione. 'Che ne dici?', 'Ti piacerebbe?' 'Vorresti che?': da una parte questo approccio è certamente segnale di amorevolezza. Dall'altra, però, è molto confusivo. E' come se un medico chiedesse al paziente se desidera essere operato in una situazione di emergenza. Oppure se il panettiere chiedesse al cliente quanto tempo va tenuto il pane nel forno. Su alcuni aspetti della crescita, amare un bambino significa essere capaci di dire "i no che aiutano a crescere". E' probabile che alcuni no non siano graditi al bambino e non lo trovino d'accordo. Ai genitori dico di non spaventarsi, il bambino ce la farà comunque ad attraversare quella frustrazione che gli mettiamo nella vita. E ne otterrà i vantaggi per cui l'abbiamo scelta", questa la significativa riflessione di Alberto Pellai.
I genitori, spesso eccessivamente presenti, servizievoli ed accondiscendenti, devono riconquistare la loro originaria autorevolezza, perché amare un bambino significa anche essere in grado di dire "i no che aiutano a crescere" ed alle volte questi no potrebbe non essere graditi ai bambini ma aiuteranno loro nel corso della vita, potendo trarne utili vantaggi. Non tutto è dovuto, nulla capita per caso, e le nuove generazioni devono comprendere fino in fondo cosa significhi sacrificarsi, impegnarsi, prodigarsi per raggiungere gli obiettivi prefissati, così da imparare presto ad agire consapevolmente e responsabilmente.
di VALENTINA TROPEA