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NON SI PUÒ ANDARE IN PENSIONE CON 750 EURO DOPO 30 ANNI DI CONTRIBUTI

Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, afferma che tutto questo è follia


Non solo alle soglie dei 70 anni: i dipendenti andranno in pensione anche con importi da fame. A confermarlo è stato oggi l’Inps, nel corso del Rapporto annuale: l’istituto nazionale ha detto che per i lavoratori i nati tra il 1965 e il 1980, con 30 anni di contributi versati e un salario di 9 euro lordi l'ora, un lavoratore potrebbe avere una pensione a 65 anni di circa 750 euro.

“Siamo alla follia – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – perché per mantenere in verde le casse dello Stato si sta deteriorando il sistema dei diritti basilari previsti dalla Costituzione: prima quello che riguarda il lavoro, con tanti dipendenti, ad esempio nella scuola, costretti a rimanere supplenti malgrado avessero tutti i requisiti per essere immessi in ruolo e l’Unione europea chiede altrettanto per non incappare nell’abuso di contratti a termine. Adesso l’Inps ci dice che dopo decenni di lavoro regolarmente retribuito, con tanto di soldi del dipendente confluiti nelle casse della previdenza nazionale, ci si ritroverà con una pensione appena superiore a quella sociale. Noi non ci stiamo e gridiamo tutto il nostro sdegno: occorre cambiare la legge e introdurre delle deroghe, a partire dalla scuola dove si deve lasciare attorno ai 60 anni di età e senza penalizzazioni”.

LA SOLUZIONE AL PROBLEMA

Il sindacalista ha di recente presentato, come segretario organizzativo Confedir, nel corso del 57° congresso Federspev, la soluzione al problema: “Bisogna introdurre assegni allineati all'inflazione e liquidazione immediata TFS/TFS e anticipo di un anno per le mamme. Inoltre, è indispensabile che per professioni logoranti e con un’alta percentuale di burnout, come i lavoratori di Scuola e Sanità, si riconosca lavoro usurate e quindi l’uscita anticipata attorno ai 60 anni di età senza decurtazioni. C’è urgenza di approvare anche delle deroghe, a partire dal 1° gennaio 2023: ne va di mezzo anche la qualità del servizio pubblico”, ha concluso Pacifico.

Il sindacato ritiene fondamentale l’introduzione di queste novità: per questo motivo è favorevole a proposte che intendono superare la Legge Fornero introducendo Quota 100 o 102 "flessibile", come quella di Antonello Orlando, esperto della Fondazione studi consulenti del lavoro.

IL CONFRONTO CON GLI ALTRI PAESI

Il sindacato ricorda che nella maggior parte dei Paesi europei i requisiti richiesti sono decisamente più bassi. In Francia, l’età minima di pensionamento è stata fissata a 62 anni, mentre ci sono altri Paesi – come Polonia e Cipro – dove l’età minima per lasciare il lavoro è anticipata addirittura, in taluni casi, a 55 anni. In molti altri Paesi europei - come Belgio, Danimarca, Irlanda, Grecia, Spagna e Lussemburgo - allo stesso modo, è possibile ottenere una pensione piena al completamento del numero di anni di servizio richiesti.

Per questi motivi, il personale del comparto istruzione e ricerca deve avere la possibilità di lasciare dai 59 anni e senza quella iniqua penalizzazione media del 20-35% che colpisce le donne che usufruiscono dell'opzione introdotta dal Governo Renzi ancora in vigore oggi. Sul computo degli anni da considerare utili al montante pensionistico andrebbero calcolati anche degli anni di riscatto. “A scuola e nella Sanità, dove il lavoro il rischio burnout è decisamente sopra la media, si dovrebbe andare in pensione ad un’età ragionevole – dichiara Marcello Pacifico - dovremmo prendere esempio dalla Germania, dove i docenti hanno diritto all’assegno di quiescenza con soli 27 anni di contributi e senza riduzioni. Noi, invece, da Quota 96, in vigore fino a qualche anno, siamo passati a Quota 100, ora si va verso 110 e poi man mano si potrebbe arrivare fino a 120 anni considerando gli anni di contributi e quelli anagrafici vicini sempre più ai 70 anni”.


di ISABELLA CASTAGNA

contatti: redazione@ascuolaoggi.it - info@ascuolaoggi.it




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