Lucangeli: un buon maestro deve incentivare il senso di soddisfazione nei suoi allievi, quel piacere di imparare e quella motivazione che favoriscono l’apprendimento, restituendo loro un ruolo attivo
- La Redazione
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“Il senso di soddisfazione, infatti, sta all’apprendimento come la benzina sta alla macchina: immaginiamo, ad esempio, di avere acquistato una macchina nuova e…”

La gioia è un’emozione meravigliosa che i bambini provano e manifestano sin dalla nascita attraverso un sorriso che illumina il volto, ma anche tramite gesti e comportamenti; essa predispone ai legami sociali e, così come ci spiega molto significativamente Daniela Lucangeli, stimata scienziata e docente di Psicologia dello sviluppo all'Università di Padova, la gioia è potente alleata dell’apprendimento.
La gioia, inoltre, è strettamente legata ad un’altra emozione positiva che è determinante per il benessere di ogni bambino: il senso di soddisfazione.
Il senso di soddisfazione è «lo stato d’animo di chi vede appagati i propri desideri e le proprie passioni» ed è un concetto molto importante per chi si occupa di educazione.
Il senso di soddisfazione, infatti, sta all’apprendimento come la benzina sta alla macchina: immaginiamo, ad esempio, di avere acquistato una macchina nuova e perfettamente funzionante; se manca la benzina però, nonostante il motore sia prestante, l’auto non si muoverà. La stessa cosa vale per l’apprendimento: gli studenti possono essere dotati di qualsivoglia capacità cognitiva ma se non vivono con piacere il momento dell’apprendimento, non saranno motivati ad apprendere.
Ma cosa si intende per motivazione in termini pedagogici?
Daniela Lucangeli, attraverso una disamina ben articolata e dettagliata, lo spiega in tal modo:
“Quando si parla di motivazione all’apprendimento, spesso si distingue tra motivazione estrinseca e motivazione intrinseca.
La motivazione estrinseca si ha quando il bambino si impegna in un’attività per scopi che sono esterni all’attività stessa, come il ricevere una ricompensa o evitare situazioni spiacevoli. Mettiamo il caso di Luca, che martedì pomeriggio ha fatto i compiti di matematica perché la mamma gli aveva promesso che, solo dopo i compiti, sarebbero andati al cinema a vedere il suo film preferito: i compiti, in questo caso, rappresentano il mezzo per raggiungere un obiettivo estrinseco.
Si parla di motivazione intrinseca, al contrario, quando un bambino si impegna in un’attività perché la trova stimolante e gratificante di per sé, e prova soddisfazione nel sentirsi sempre più competente (è in questa categoria che rientra il senso di soddisfazione). Riferendoci sempre a Luca, che ama molto l’inglese, diremo che Luca affronta i compiti di inglese con grande piacere e senza venire obbligato dalla mamma. I compiti gli riescono molto bene e questo non fa che aumentare il piacere di Luca nel metterci impegno e il suo amore nei confronti della materia (al contrario di quanto avviene con i compiti di matematica: la mamma deve fare molto per farglieli svolgere)”.
Si pensi, ad esempio, a cosa muove i bambini o gli studenti ad imparare. Tra le motivazioni estrinseche rientrano il giudizio della maestra, dei compagni di classe, ma anche la pressione dei genitori; tra quelle intrinseche ritroviamo il piacere di imparare, la gioia, il senso di soddisfazione che deriva dall’apprendimento, e così via discorrendo.
Un buon maestro, pertanto, deve incentivare il senso di soddisfazione nei suoi allievi, quel piacere di imparare e quella motivazione che favoriscono l’apprendimento, restituendo loro un ruolo attivo.
“Maggiore è la motivazione all’apprendimento e migliore sarà anche la prestazione dello studente. Il piacere di imparare, l’orgoglio per i propri risultati e il senso di soddisfazione si accompagneranno verosimilmente a un profitto positivo, mentre la noia e l’ansia a uno negativo”, queste le significative parole della docente di Psicologia dello sviluppo all'Università di Padova.
Un apprendimento soddisfacente presuppone però il ruolo attivo di chi apprende: occorre, pertanto, riconoscere al bambino un ruolo attivo nell’apprendimento, altrimenti lo priveremo della facoltà di conquistare ciò che sta imparando, di farlo proprio e di apportare un suo contributo.
Al bambino, quindi, deve essere concessa la facoltà di porsi in autonomia i propri obiettivi di apprendimento.
È necessario un cambio di passo: abbiamo bisogno di un apprendimento in cui sia il bambino a condurre, anziché essere condotto dal genitore o dall’insegnante.
“Mi piace pensare al ruolo dell’adulto come quello di un facilitatore, che allarga ed espande gradualmente la gamma di obiettivi che il bambino si pone, affinché questi diventi sempre più capace di darseli da solo”, così conclude la sua considerevole riflessione Daniela Lucangeli.
di VALENTINA TROPEA