Ritrovare se stessi, senza dover necessariamente indossare una maschera, in una società che predilige l’apparenza all’essenza, appare alle volte estremamente difficile…

Ritrovare se stessi, senza dover necessariamente indossare una maschera, in una società che predilige l’apparenza all’essenza, appare alle volte estremamente difficile, alle volte sconveniente.
Si tende, infatti, alla ricerca di consensi e per compiacere gli altri, di conformarsi, omologandosi ad una società che troppo spesso spinge i giovani a vivere un’esistenza priva di significato, attraverso quel sovvertimento di valori che determina un impoverimento emotivo, dimenticando chi si è veramente, non distinguendo più la realtà dalla finzione.
Si realizza, pertanto, una vera e propria pubblicizzazione dell’intimità, esibendo senza pudore i propri sentimenti.
“Brutto segno. Perché questo significa che sono crollate le pareti che consentono di distinguere l’interiorità dall’esteriorità, la parte ‘discreta’, ‘singolare’, ‘privata’, ‘intima’ di ciascuno di noi dalla sua esposizione e pubblicizzazione. Se infatti chiamiamo ‘intimo’ ciò che si nega all’estraneo per concederlo a chi si vuol fare entrare nel proprio segreto profondo e spesso ignoto a noi stessi, allora il pudore, che difende la nostra intimità, difende anche la nostra libertà”, queste le parole del filosofo, saggista e psicoanalista Umberto Galimberti, attraverso le quali coglie l’occasione per esprimere il suo pensiero.
Il pudore ci consente di decidere il grado di apertura o di chiusura verso l’altro, per cui si può mettere a nudo il proprio corpo senza mai però mettere a nudo la propria anima.
Si è irrimediabilmente esposti e quindi attraverso il pudore si cerca di preservare la propria soggettività, intimità, discrezione.
Tuttavia sempre più spesso si predilige la pubblicizzazione dell’intimo, “perché in una società consumistica, dove le merci per essere prese in considerazione devono essere pubblicizzate, si propaga un costume che contagia anche il comportamento dei giovani, i quali hanno la sensazione di esistere solo se si mettono in mostra, per cui, come le merci, il mondo è diventato una mostra, un’esposizione pubblica che è impossibile non visitare perché comunque ci siamo dentro”, così continua la disamina il filosofo, senza esitazione ma con determinazione.
Chi non si esibisce, chi non si mette in mostra, non esiste perché ciò che conta davvero è apparire e quindi si mettono in mostra anche i sentimenti, le emozioni, la propria interiorità, così omologandosi alla massa, attraverso una spudoratezza che viene acclamata quale espressione di sincerità.
“Questo significa ‘Non aver nulla da nascondere, nulla di cui vergognarsi’. Significa che le istanze del conformismo e dell’omologazione lavorano per portare alla luce ogni segreto, per rendere visibile ciascuno a ciascuno, per toglier di mezzo ogni interiorità come impedimento, ogni riservatezza come un tradimento, per apprezzare ogni volontaria esibizione di sé come fatto di lealtà se non addirittura di salute psichica”, in tal modo conclude la sua disamina il filosofo.
Ecco allora la necessità di rivendicare il proprio diritto al pudore proprio perché molti giovani scambiano la loro identità con la pubblicità dell’immagine, avendo la sensazione di esistere solo se si mettono in mostra, esibendo senza preoccupazione anche i loro sentimenti, così privandosi della loro vera essenza, dimenticando chi sono realmente, non riuscendo più a custodire la propria interiorità, mettendo a nudo quell’anima che dovrebbe invece essere gelosamente custodita.
Occorre, quindi, che i giovani si riapproprino della loro identità, rivendicando l’unicità e la specialità di ciascun individuo, ritrovando una propria dimensione intima da preservare, non conformandosi ad una società che vorrebbe solo manipolarli ma riconoscendo le proprie capacità, coltivandole e facendole fiorire secondo misura.
di VALENTINA TROPEA