Galimberti: la grande virtù di un insegnante è la sua capacità comunicativa senza sfoggiare tutto il proprio sapere ma modulandolo in modo tale che gli allievi possano comprenderlo pienamente
- La Redazione
- 31 mar
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Aggiornamento: 4 apr
“A tal proposito il filosofo, saggista e psicoanalista Umberto Galimberti rende ancor più cristallino tale principio facendo riferimento alla capacità di …”

Nell’ambito delle relazioni interpersonali la propria capacità comunicativa ed il proprio carisma contribuiscono senz’altro ad una maggiore propensione all’ascolto, così come la nostra intelligenza e capacità dialettica facilitano la comprensione e la percezione del nostro reale pensiero.
A tal proposito il filosofo, saggista e psicoanalista Umberto Galimberti rende ancor più cristallino tale principio facendo riferimento alla capacità di “mimetizzare” la propria intelligenza, cioè l’attitudine a modulare la nostra capacità comunicativa in relazione a chi ci sta ascoltando.
“Se siamo tutti intelligenti, ognuno a suo modo, sarà tendenza di ciascuno mostrare, ogni volta che se ne presenta l’occasione, la specificità della propria intelligenza.
Il risultato di solito è: o la mortificazione di quanti sono costretti ad assistere all’esibizione dell’altrui abilità mentale, o l’invidia che, opportunamente mascherata, trova sfogo nella maldicenza intorno ad altri aspetti della personalità di chi fa sfoggio della propria intelligenza, o infine il disinteresse per ciò che la persona intelligente va dicendo, creando un vuoto intorno al suo discorso che ricade su se stesso senza i riscontri attesi. A parità di capacità intellettuali è allora più intelligente non tanto chi eccelle in una determinata abilità mentale, ma chi è in grado di percepire in anticipo l’effetto che un’eventuale esibizione di intelligenza può produrre in chi ascolta. E siccome l’effetto è quasi sempre deprimente, più intelligente sarà chi è capace di mimetizzare la propria intelligenza”, queste le significative parole del filosofo.
Ciascuno di noi possiede una propria specifica intelligenza e spesso l’espressione delle proprie abilità mentali può ingenerare in coloro che ci ascoltano mortificazione, invidia o addirittura disinteresse; ecco allora l’importanza di saper “mimetizzare” la propria intelligenza. Ma cosa si intende veramente per mimetizzazione?
“ 'Mimetizzazione’ è una parola solitamente impiegata a proposito di quegli animali che sanno confondersi con l’ambiente in modo da non essere individuati da possibili aggressori, così come ‘mimetico’ si chiama l’abbigliamento che in battaglia indossano i militari, sempre allo scopo di non essere individuati e quindi di poter sorprendere il nemico a sua insaputa. Mimetizzare la propria intelligenza significa allora saperne modulare l’espressione a seconda del contesto in cui ci si trova, percependo in anticipo il livello di comprensione di coloro che ci ascoltano e le possibili reazioni che l’intervento può produrre.
Questa capacità anticipatoria, che evita le reazioni negative, è tipica di quelle intelligenze non narcisistiche, capaci di ‘mettersi nei panni degli altri’ e calibrare perfettamente come un certo discorso, per intelligente che sia, può essere percepito dall’altro e davvero compreso. Gli antichi filosofi, a differenza dei sapienti che ritenevano di possedere la verità, sapevano che un conto è la verità, un conto è la comprensione della verità. E alla comprensione della verità hanno dedicato la loro massima cura, istituendo, a partire da Socrate, le scuole, persuasi com’erano che una verità non compresa non serve a niente”, in tal modo Umberto Galimberti analizza molto dettagliatamente tale concetto.
Si parla, a tal proposito, di “intelligenze non narcisistiche”, tipiche di chi è capace di modulare e calibrare il proprio pensiero in modo tale che possa essere perfettamente percepito e compreso dal proprio interlocutore.
“A condizionare la comprensione non sono solo fattori culturali, ma soprattutto ed eminentemente fattori emotivi, per cui, ad esempio, se una classe di studenti si sente amata dal suo professore l’apprendimento sarà facilitato, se un messaggio viene veicolato da un testimonial apprezzato dal pubblico, sarà più facilmente recepito.
Ciò significa che un’intelligenza che si accompagna a una competenza emotiva sa che cosa, di quanto esprime, può essere recepito o rifiutato. E, se le interessa che il messaggio passi, questa intelligenza sa anche rinunciare a dire tutto quello di cui è competente, per limitarsi a enunciare solo ciò che può essere compreso. Riduce quindi le sue possibilità enunciative a favore della trasmissibilità dei messaggi. In una parola, mimetizza la sua intelligenza a misura della recettività di chi ascolta, per favorire l’acquisizione delle informazioni.
La mimetizzazione dell’intelligenza è quindi una grande virtù: la virtù degli insegnanti che non sfoggiano tutto il loro sapere, ma solo quello che può essere recepito e nelle forme in cui può essere recepito; la virtù degli psicoanalisti che, pur individuando dopo due sedute di che cosa soffre il paziente, attendono molte sedute affinché il paziente pervenga da sé alla sua verità; la virtù dei genitori che, pur avendo presenti le capacità che i figli potrebbero tradurre in professioni, attendono che i figli le riconoscano da soli, sorreggendo i loro percorsi con piccoli accenni quando i figli sono nella condizione di recepirli; la virtù dei politici che hanno il polso del paese reale e non solo degli obiettivi che vogliono perseguire, indipendentemente dal consenso o dal dissenso opportunamente valutato; ma direi anche la virtù delle veline, alcune delle quali hanno senz’altro significative capacità intellettuali, che però, dato il contesto, non è il caso di esibire in un concorso di bellezza, dove l’attenzione è tutta concentrata sulle misure e le forme del corpo”, così continua la sua riflessione il filosofo.
La grande virtù di un insegnante è quindi la sua capacità comunicativa senza sfoggiare tutto il proprio sapere ma modulandolo, mimetizzando la propria intelligenza, in modo tale che gli allievi possano comprenderlo pienamente; così come rilevante è la virtù dei genitori che, pur avendo piena contezza delle capacità dei figli, attendono che siano quest’ultimi a scoprile attraverso le loro esperienze di vita.
“La mimetizzazione dell’intelligenza è la virtù delle persone veramente intelligenti, che sanno coniugare la verità con la comprensione della verità, per la quale sono disposti a rinunciare all’esibizione di sé per la cura dell’altro e la comprensione delle modalità con cui l’altro può capire quanto si va dicendo.
All’intelligenza che sa mimetizzarsi compete quella virtù che possiamo chiamare altruismo, qui inteso non come “buonismo”, ma come percezione di ciò che è altro da me, perché consapevole che gli altri, con le loro obiezioni anche grossolane, possono costituire uno stimolo a un ulteriore ricercare e intendere e trovare. Dimensioni, queste, tutte impedite alle intelligenze narcisistiche che, non percependo nulla dell’altro, del suo livello di comprensione e del valore delle sue obiezioni (che i narcisisti scambiano per attacchi), irrigidiscono la loro intelligenza, facendola diventare sempre più dogmatica, e alla fine arida e fossilizzata, perché non dialogica e non recettiva di quanto gli altri e il mondo hanno ancora da insegnare”, così conclude la sua considerevole disamina Umberto Galimberti.
Le persone davvero intelligenti sono quindi in grado di rinunciare all’esibizione di sé, mimetizzando la propria intelligenza, non ostentando mai le proprie capacità, ma anzi limitandosi ad enunciare solo ciò che può essere compreso dall’interlocutore, in nome di quell’altruismo che consente di prendersi cura dell’altro senza porre al centro solo se stessi.
Si tratta, ad esempio, della grande virtù di quegli insegnanti che riescono ad avere un’ottima capacità comunicativa poiché la comprensione è strettamente legata anche a fattori emotivi e così l’apprendimento sarà facilitato se gli allievi si sentiranno amati dal proprio professore.
Ecco perché le persone intelligenti non hanno bisogno di ostentare la loro bravura, di sfoggiare tutto il loro sapere, pur avendo piena consapevolezza delle loro qualità, prediligendo l’ascolto e la comprensione alla sterile celebrazione di se stessi.
di VALENTINA TROPEA