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Galimberti: l'insegnante che arriva al cuore degli alunni riesce a suscitare il giusto interesse per una corretta trasmissione del sapere. "Quanti sanno suscitare l'interesse dei loro allievi?"

Immagine del redattore: La RedazioneLa Redazione

Aggiornamento: 9 ore fa

"Quando parlo di 'cuore' parlo di ciò che nell'età evolutiva apre alla vita, con quella forza disordinata e propulsiva senza la quale difficilmente gli adolescenti troverebbero il coraggio di..."

La scuola, quale luogo principale di formazione per le nuove generazioni, svolge un ruolo davvero importante nel loro percorso educativo e di crescita.

Si tratta di una funzione fondamentale ed imprescindibile che non presuppone deroghe o sostituzioni.


A tal fine il filosofo, saggista e psicoanalista Umberto Galimberti pone l'accento sulla scuola italiana che istruisce ma non educa.

"L'istruzione è una trasmissione di contenuti culturali e scientifici da chi li possiede (gli insegnanti) a chi non li possiede (gli studenti); l'educazione prevede che si individui la specificità dell'intelligenza dei singoli studenti, e ci si prenda cura della loro condizione emotiva", queste le significative parole del filosofo in merito.

Infatti non si dà apprendimento senza gratificazione emotiva e l'incuria dell'emotività è un fattore rischioso per ogni studente perché il suo cuore comincerà a vagare senza orizzonte in quel nulla inquieto e depresso che neppure il "baccano" della musica giovanile riesce a mascherare.


La scuola italiana istruisce e non educa per ragioni oggettive e soggettive, così come ci spiega il filosofo molto dettagliatamente.

Tra le ragioni oggettive possiamo senz'altro annoverare il fatto che le classi sono composte da venticinque o trenta ragazzi e ciò rende impossibile l'educazione perché tali numeri non consentono di individuare la qualità di intelligenza di ciascuno studente né tantomeno seguirlo nel suo percorso emotivo e sentimentale.

Le classi, invece, dovrebbero essere composte da dodici o quindici studenti per poterli seguire a uno a uno, così da realizzare un vero e proprio processo educativo.


"Quando parlo di 'cuore' parlo di ciò che nell'età evolutiva apre alla vita, con quella forza disordinata e propulsiva senza la quale difficilmente gli adolescenti troverebbero il coraggio di proseguire l'impresa. Il sapere trasmesso a scuola non deve comprimere questa forza, bensì porsi al suo servizio, per consentirle un'espressione più articolata in termini di scenari, progetti, investimenti, interessi. Alla fine resta la vita, e il sapere come strumento per meglio esprimerla", queste le parole di Umberto Galimberti.


Ecco allora l'importanza di evitare l'eccesso di promozioni che azzerano la meritocrazia e demotivano gli studenti che studiano rispetto a quelli che non studiano. Fondamentale, inoltre, l'assenza dei genitori, proprio perché gli studenti devono essere in grado di cavarsela da soli con gli insegnanti, senza alcuna protezione genitoriale che ritarda la loro crescita, emancipazione ed assunzione di responsabilità.

Le ragioni soggettive che non consentono alla scuola italiana di educare riguardano la formazione degli insegnanti; a questi ultimi manca qualsiasi nozione di psicologia dell'età evolutiva pur avendo a che fare con ragazzi in età evolutiva. Inoltre, sarebbe opportuno che chi aspira all'insegnamento sia sottoposto ad un test di personalità che verifichi che il candidato possieda, oltre alla conoscenza della materia, anche un grado sufficiente di empatia, che non si può apprendere perché è una dote naturale.


Quindi chi non la possiede non può e non deve fare l'insegnante.

Sarebbe necessario anche abolire il ruolo perché se un insegnante non è all'altezza del suo compito non può essere sospeso dall'insegnamento.

"Se è vero che la mente non si apre se non si è aperto il cuore, quanti sono gli insegnanti che aprono il cuore degli studenti? Quanti sanno comunicare, affascinare e suscitare l'interesse dei loro allievi? A me sembrano pochi", in tal modo esprime il proprio pensiero Galimberti.


Occorre, pertanto, una scuola che educhi oltre che istruire, ponendo alla base l'emotività dei giovani, il loro cuore, cercando di costruire un legame emotivo che susciti interesse, così da instaurare un rapporto di fiducia e non di diffidenza tra studente ed insegnante, tale da consentire al sapere di diventare lo strumento per esprimere al meglio la propria vita e non lo scopo ed il profitto il metro per misurarlo.

"Là dove invece il sapere diventa lo scopo, e il profitto il metro per misurarlo, qualunque siano le condizioni d'esistenza in cui una vita è riuscita ad esprimersi, la scuola fallisce perché livella, quando non mortifica, soggettività nascenti, in nome di un presunto sapere oggettivo che serve a dare identità più agli insegnanti che agli studenti in affannosa ricerca", così conclude la sua riflessione Umberto Galimberti.

di VALENTINA TROPEA

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