Galimberti: l’amore è quel legame capace di farci sentire vivi, quella forza in grado di superare il tempo e persino le difficoltà della vita quotidiana, restituendo al sentimento la sua dignità
- La Redazione
- 8 ore fa
- Tempo di lettura: 4 min
“Pensiamo a un matrimonio: non è solo l’unione di due persone, ma la celebrazione dell’amore come forza capace di superare il tempo, il caso, e…”

La nostra società, dominata dalla logica della funzionalità e della produttività, appare sempre più appiattita e superficiale, incapace di restituire ai sentimenti la loro originaria dignità, alla luce della razionalità della tecnica che sembra predominare incontrastata.
Si avverte, dunque, la necessità di ritornare a “sentire”, facendo rifiorire quei sentimenti che rimettono al centro l’uomo in quanto persona e non la sua attitudine alla produzione ed al consumo.
A tal proposito il filosofo, saggista e psicoanalista Umberto Galimberti evidenzia proprio tale aspetto, soffermandosi sull’importanza di riscoprire se stessi attraverso emozioni autentiche che fungano da guida nell’ambito della propria esistenza.
“Io sostengo che il vero significato della celebrazione risieda nella capacità di dare voce ai sentimenti, di riportarli al centro della nostra esperienza di vita. In un’epoca in cui tutto sembra appiattito sulla logica della funzionalità e della produttività, celebrare diventa un atto di resistenza culturale, un gesto con cui riaffermiamo il valore del sentire umano. Quando celebriamo, non stiamo semplicemente commemorando un evento o ricordando una persona, ma stiamo creando uno spazio simbolico dove il tempo ordinario si sospende, lasciando emergere la profondità di ciò che ci lega. Sia esso un matrimonio, un anniversario o anche un funerale, la celebrazione è l’occasione per restituire ai sentimenti quella dignità che troppo spesso viene sacrificata sull’altare della fretta e della superficialità”, in tal modo il filosofo inizia la sua considerevole riflessione.
La celebrazione, pertanto, ci offre un’opportunità unica: non farci mai travolgere dall’anestesia emotiva ma ritornare a sentirci vivi, riscoprendo la profondità della nostra umanità, attraverso quelle emozioni che permettono di relazionarci con gli altri, instaurando legami profondi e duraturi, capaci di arricchirci e di colmare un vuoto esistenziale troppo spesso percepito come predominante.
“Io credo che i sentimenti non siano semplici emozioni fugaci, ma vere e proprie forme di conoscenza, modalità attraverso cui entriamo in contatto con la realtà, con gli altri, con noi stessi. Celebrare, quindi, non è un atto banale o secondario, ma un rito che ci consente di riscoprire il senso profondo della nostra umanità.
Pensiamo a un matrimonio: non è solo l’unione di due persone, ma la celebrazione dell’amore come forza capace di superare il tempo, il caso, e persino le difficoltà della vita quotidiana. In un anniversario, non è solo il passato che festeggiamo, ma il legame che ci ha permesso di attraversare il tempo insieme, trasformando le esperienze in memoria condivisa. Perfino in un funerale, ciò che celebriamo è la vita stessa, il suo mistero, il suo valore, e il legame che continua a unirci anche oltre la morte.
Io sostengo, tuttavia, che la celebrazione autentica sia sempre a rischio nella nostra società, dove ogni cosa viene trasformata in spettacolo e consumo. Vediamo matrimoni che sembrano esibizioni, ricorrenze ridotte a post sui social, funerali svuotati di significato profondo. È come se la celebrazione perdesse la sua capacità di dare senso, diventando un’ennesima occasione per mostrare ciò che possediamo, anziché ciò che sentiamo.
Per questo invito a riflettere: perché non tornare al significato originario delle celebrazioni? Perché non restituire loro quella dimensione spirituale e simbolica che le rende momenti di vera profondità? Io credo che celebrare significhi riconciliarsi con il tempo, con gli altri, con noi stessi. Significa fermarsi, sentire, vivere pienamente quel legame che ci unisce alla vita e alle sue manifestazioni”, così continua la sua disamina Umberto Galimberti.
Si pensi, ad esempio, ad un matrimonio attraverso il quale si celebra autenticamente l’amore quale legame capace di farci sentire vivi, quella forza in grado di superare il tempo e persino le difficoltà della vita quotidiana, restituendo al sentimento la sua originaria dignità. Eppure spesso tale celebrazione viene trasformata in uno spettacolo, un modo per mostrare solo ciò che possediamo anziché ciò che sentiamo, mettersi in mostra ricercando approvazione e consenso dimenticando l’essenza stessa dei nostri sentimenti.
“Celebrare, dunque, è un atto profondamente umano. È il nostro modo per ricordarci che, anche nella frenesia del nostro tempo, esiste un luogo interiore in cui il sentimento può ancora fiorire. Ed è proprio questo, in ultima analisi, che io credo sia il vero scopo di ogni celebrazione: farci riscoprire il miracolo di sentirci vivi, connessi, e parte di un qualcosa di più grande”, in tal modo conclude la sua riflessione il filosofo.
La cosa più importante, pertanto, è ritornare a sentire, attraverso quella risonanza emotiva che possa permetterci di avere contezza delle nostre azioni, vivendo la nostra esistenza pienamente, restituendo valore a ciò che proviamo veramente, non lasciandoci destabilizzare da una società che troppo spesso ci chiede di metterci in mostra, indossando una maschera, un’esibizione che rischia di pregiudicare la nostra vera essenza a favore di un’effimera apparenza.
di VALENTINA TROPEA