Galimberti: Il sapere appreso a scuola deve essere lo strumento per consentire allo studente di realizzare se stesso, esprimendo al meglio la sua vita, accrescendo la sua autostima, il suo talento
- La Redazione
- 11 mar
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Aggiornamento: 12 mar
Tuttavia, perché le nuove generazioni possano formare una loro salda identità dovranno sviluppare un’adeguata autostima ed una indispensabile autoaccettazione per far fronte…

“La scuola ha a che fare con quella fase precaria dell’esistenza che è l’adolescenza, dove l’identità appena abbozzata non si gioca come nell’adulto tra ciò che si è e la paura di perdere ciò che si è, ma nel divario ben più drammatico tra il non sapere chi si è e la paura di non riuscire a essere ciò che si sogna”, in tal modo inizia la sua significativa riflessione il filosofo, saggista e psicoanalista Umberto Galimberti.
Gli adolescenti si ritrovano a dover affrontare una maturazione accelerata, senza che possa esserci una continuità tra la preparazione attraverso gli studi e l’ingresso nel mondo del lavoro.
Tuttavia, perché le nuove generazioni possano formare una loro salda identità dovranno sviluppare un’adeguata autostima ed una indispensabile autoaccettazione per far fronte ad eventi avversi della vita.
“L’autostima dello studente è scambiata spesso per presunzione, e l’autoaccettazione come un esplicito riconoscimento da parte dello studente di non valere un granché. Se poi è lo stesso studente a esser convinto di valere poco, il professore si sente assolutamente assolto nel suo ribadire, con voti e giudizi negativi, quel nulla che lo studente avverte già per suo conto dentro di sé”, così continua la sua profonda disamina il filosofo.
Eppure sembra che gli insegnanti interessati ad accertare il grado di autostima dei propri studenti siano davvero pochissimi, e spesso si mette a confronto il comportamento di un allievo con quello di un altro non rendendosi conto che in tal modo si indebolisce chi non è molto forte e si irrobustisce chi è già solido.
I professori tendono a giudicare i loro studenti in base al profitto così riducendo l’educazione ad un mero fatto quantitativo dove fondamentale sono solo i voti e le nozioni che si immagazzinano.
Ecco allora che la creatività, le emozioni, i sentimenti, i piaceri, i desideri, vengono espulsi dalla scuola, quindi vi è l’espulsione della c.d. educazione emotiva: tutto diventa più rigido, più freddo, e non c’è spazio per l’educazione del cuore, per quell’empatia che consente di instaurare rapporti veri, sinceri, dove le emozioni possano predominare incontrastate.
Il rapporto che si instaura tra professore e studente appare come un rapporto di reciproca diffidenza, dove viene meno il legame emotivo, e di conseguenza l’interesse. Le interrogazioni misurano il “profitto” ma senza sollecitazione emotiva, senza comprensione reciproca, è più semplice demotivare gli studenti che non considerano più il sapere che si apprende a scuola come uno strumento per esprimere al meglio loro stessi, per una opportuna autorealizzazione.
L’apprendimento senza gratificazione emotiva, l’incuria dell’emotività, determina un inaridimento del cuore, e ciò è molto preoccupante per le nuove generazioni.
“Quando parlo di ‘cuore’ parlo di ciò che nell’età evolutiva dischiude alla vita, con quella forza disordinata e propulsiva senza la quale difficilmente gli adolescenti troverebbero il coraggio di proseguire l’impresa. Il sapere trasmesso a scuola non deve comprimere questa forza, ma porsi al suo servizio per consentirle un’espressione più articolata in termini di scenari, progetti, investimenti, interessi.
Infine resta la vita, e il sapere lo strumento per meglio esprimerla. Laddove invece il sapere diventa lo scopo e il profitto il metro per misurarlo qualunque siano le condizioni d’esistenza in cui una vita è riuscita a esprimersi, la scuola fallisce, perché livella, quando non mortifica, soggettività nascenti in nome di un presunto sapere oggettivo che serve a dare identità più ai professori che agli studenti in affannosa ricerca”, queste le parole di Galimberti in ultima battuta.
Il sapere appreso a scuola deve essere, dunque, lo strumento per consentire allo studente di realizzare se stesso, esprimendo al meglio la sua vita, accrescendo la sua autostima, riscoprendo le sue potenzialità, il suo talento, al di là del profitto, perché solo in tal modo potrà crescere serenamente, realizzando i propri sogni e non rinnegando la propria identità.
di VALENTINA TROPEA
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