GALIMBERTI: “IL CELLULARE È UN GROSSO PROBLEMA. HA CAMBIATO IL MONDO”, L’ESPERTO INDAGA SU COME LA TECNOLOGIA HA INVASO LE NOSTRE VITE
- La Redazione
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“L ’esperto afferma : “ il cellulare è un grosso problema, ha cambiato il mondo. Perché l’ha cambiato? Perché i bambini hanno il cellulare già dall’età di 4 o 5 anni. Se si privano del cellulare, si privano anche della socializzazioni con i loro coetanei…”

Umberto Galimberti, filosofo, saggista e psicoanalista italiano, non ha dubbi: la tecnologia ha profondamente trasformato le nostre vite. Se da un lato ci aiuta quotidianamente a vivere in modo più semplice, dall’altro si rivela spesso opprimente, invadendo i nostri spazi e modificando radicalmente i rapporti umani e sociali.
Emblematica in questo senso è una vignetta, diventata virale sui social, che mostra un cellulare posizionato di fianco a forchetta e coltello su di una tavola ben imbandita. Un'immagine satirica che fa riflettere su quanto ormai non possiamo più fare a meno del telefono. Non solo per gli adulti, ma anche per i più piccoli il cellulare ha assunto un ruolo centrale. Per i bambini è un mezzo di socializzazione, non possederne uno significa restare esclusi dal proprio gruppo di pari. Per Galimberti “ il cellulare è un grosso problema, ha cambiato il mondo. Perché l’ha cambiato? Perché i bambini hanno il cellulare già dall’età di 4 o 5 anni. Se si privano del cellulare, si privano anche della socializzazioni con i loro coetanei”.
La tecnologia è riuscita a penetrare anche in situazioni così delicate come il socializzare, l’ empatizzare , come sottolinea Galimberti : “La tecnica in questo ambito ha sconfinato. È diventata sociologia, psicologia”. A destare particolare preoccupazione sono anche le app di controllo, che minano la fiducia all’interno dei rapporti: ci trasformano in veri e propri detective, spinti dal bisogno costante di sapere dove si trovano i nostri cari. “Non sopportiamo più la distanza”, afferma l’esperto, osservando come bastino pochi secondi senza una risposta da parte del partner per farci assalire dall’ansia.
Oggi i giovani, grazie alla tecnologia, possono “nuotare negli abissi dell’oceano senza bagnarsi o visitare Pechino senza andarci”. Per Galimberti, siamo diventati schiavi del cellulare. Vivere esperienze incredibili senza muoversi da casa è un fenomeno di desocializzazione: tutto è diventato a portata di mano, senza sforzo. Un comportamento che danneggia anche la costruzione delle relazioni. Il contatto fisico è sempre più raro, la comunicazione sempre più non verbale, e le amicizie non nascono più dalla vicinanza reale, ma dalla connessione virtuale.
Un’altra tematica cruciale affrontata da Galimberti è quella del sacrificio. I giovani, a suo avviso, non sono più disposti a rinunciare al tempo libero per lavorare, e la responsabilità ricade anche sui genitori. Secondo il filosofo, non si dovrebbe vivere solo per il lavoro, ma oggi i ragazzi non prendono iniziativa e non si sentono spronati a trovare un’occupazione, perché per ogni esigenza possono contare su mamma e papà. Il filosofo pone l’attenzione su come la tecnologia abbia alterato anche i tempi biologici.
Oggi diventa sempre più urgente interrogarsi su come uscire dalla condizione di dipendenza dalla tecnologia, e in particolare dallo smartphone, che Galimberti descrive come una vera e propria schiavitù. Una via possibile è quella di riscoprire il valore della presenza fisica e della relazione autentica. In un’epoca in cui la comunicazione avviene spesso attraverso schermi, tornare a guardarsi negli occhi, a parlarsi di persona, a condividere esperienze concrete, rappresenta un atto di resistenza culturale. Occorre anche imparare a rallentare. Il tempo umano è più lento rispetto a quello imposto dalla tecnica, e riconnettersi ai propri ritmi naturali è un gesto di cura verso se stessi. Questo significa concedersi momenti di silenzio, di inattività, di noia persino, intesi non come vuoti da riempire, ma come spazi di riflessione, creatività e ascolto interiore. Educare le nuove generazioni a questo approccio non significa demonizzare la tecnologia, ma promuovere un uso consapevole e limitato, che non sostituisca la realtà ma la accompagni.
È fondamentale anche tornare a vivere esperienze reali: viaggiare, uscire, fare attività all’aria aperta, riscoprire il corpo e il movimento. Solo così si può evitare che tutto venga vissuto attraverso uno schermo. A ciò si collega un altro nodo cruciale: quello dell’autonomia. Troppi giovani, secondo Galimberti, si affidano ancora totalmente ai genitori, rinunciando a sviluppare senso di responsabilità e iniziativa personale. Anche questa è una forma di dipendenza che si somma a quella tecnologica, e che va superata con una rinnovata educazione alla libertà e alla progettualità. In definitiva, se la tecnica ha invaso ogni ambito della nostra esistenza, è solo attraverso una nuova consapevolezza dei limiti – del tempo, del corpo, della relazione – che possiamo sperare di ritrovare l’equilibrio. Non per tornare indietro, ma per imparare a convivere con la tecnologia senza esserne travolti.
di NATALIA SESSA