In molte occasioni, infatti, coloro che si occupano del percorso di crescita e di formazione non riescono a trasmettere ai giovani la capacità di potercela fare, di poter superare le avversità anche nei momenti più difficili, riversando nei loro confronti solo un gran senso di insoddisfazione...
Il rapporto tra genitori e figli non è semplice da gestire: spesso le incomprensioni ed i fraintendimenti possono rendere tale relazione conflittuale e non consentire ai più giovani di ritrovare una guida, un punto di riferimento, nel proprio educatore. Non è semplice comprendere sin dal principio quali siano le reali esigenze dei più giovani, spesso alle prese con la loro fase adolescenziale, percorso di crescita che richiede una presenza costante e tanto tempo a disposizione.
Oggi, invece, la tendenza dei genitori è quella di dedicare molto tempo al lavoro, per garantire produttività ed efficienza, così trascurando i propri figli, dedicando loro pochissime attenzioni e cercando di colmare i sensi di colpa con tantissimi regali, che non fanno altro che confermare la loro assenza.
Spesso i figli non si sentono all'altezza dei genitori e, come ci spiega il filosofo, saggista e psicoanalista Umberto Galimberti, non si rispetta il diritto dei figli a essere diversi da come i genitori li vorrebbero e così si finisce con il bloccare il loro processo di crescita e di autonomia.
In molte occasioni, infatti, coloro che si occupano del percorso di crescita e di formazione non riescono a trasmettere ai giovani la capacità di potercela fare, di poter superare le avversità anche nei momenti più difficili, riversando nei loro confronti solo un gran senso di insoddisfazione, sfiducia e delusione, un po' come se avessero fallito nel loro ruolo di educatori.
L'essere sempre così presenti in maniera quasi soffocante, facendo percepire ai figli le proprie aspettative e non nascondendo gli obiettivi che sarebbe opportuno raggiungere, ingenera una situazione opposta a quella sperata: quella pressione spesso troppo forte determina un senso di inadeguatezza dei giovani, che non si sentono all'altezza della situazione, convinti che non si possa sbagliare, incapaci di relegare questo senso di insicurezza nel profondo ma anzi manifestando tale disagio anche nei rapporti con le altre persone.
"Nella struttura della famiglia circola spesso un improprio aggettivo possessivo che fa dire all'uomo "mia moglie", alla donna "mio marito", a entrambi "mio figlio" o "mia figlia", quando nella relazione tra individui che hanno deciso di condurre una vita insieme, e insieme di generare, di "mio" non dovrebbe esserci proprio nulla. Infatti l'unica condizione perché nel nucleo familiare possa circolare l'amore è il riconoscimento dell'alterità dell'altro, e non la percezione dell'altro limitatamente a come io vorrei che fosse, con conseguente negazione della sua individualità, e sua riduzione a semplice soddisfazione dei miei desideri o delle mie aspettative", queste le parole del filosofo.
La soppressione dell'alterità dell'altro implica la svalutazione ed il disinteresse per tutto ciò che l'altro esprime di diverso da quel che penso e sono io.
"Questa mancanza di rispetto dell'alterità dell'altro spesso si esercita anche nei confronti dei figli a causa di un fraintendimento radicale del concetto di 'educazione', che non significa condurre i figli ad assecondare le nostre aspettative, ma accompagnarli nella scoperta della loro natura che, per il solo fatto che sono nati da noi, non significa che coincida con la nostra", così conclude la sua disamina il filosofo Galimberti.
Ecco allora l'importanza di comprendere fino in fondo come la funzione svolta da un educatore sia di notevole rilevanza: il genitore non deve essere d'intralcio nel percorso di crescita, non può pretendere che vengano assecondate le proprie aspettative, ma deve tenere il figlio per mano così da accompagnarlo nella scoperta di se stesso, senza bloccare il suo percorso formativo, supportandolo e guidandolo nel suo cammino, non dimenticando mai la sua vera essenza, tenuto conto del diritto dei figli ad essere diversi da come i genitori li vorrebbero.
di VALENTINA TROPEA