“Per questo c’è un gran lavoro da fare nell’educazione preventiva dell’anima (e non solo del corpo e dell’intelligenza) per essere all’altezza del nostro tempo, che ha bruciato gli…”

Esistono diverse tipologie di emozioni che connotano la nostra esistenza: si pensi, ad esempio, alla collera che consente al sangue di affluire alle mani rendendo più facile impugnare un’arma o sferrare un pugno, mentre la frequenza cardiaca aumenta e l’adrenalina genera un’energia tale da permettere un’azione vigorosa; ma anche alla paura che permette al sangue di fluire verso i grandi muscoli scheletrici, come quelli delle gambe, rendendo più facile la fuga, mentre il volto impallidisce; o ancora all’amore che accresce il senso di vicinanza e di affettività.
A tal proposito il filosofo, saggista e psicoanalista Umberto Galimberti, attraverso una profonda riflessione, sostiene fermamente come l’emotività possa essere educata e, per una società migliore, debba essere educata.
Ecco allora che ci si pone una domanda: “Esiste nella cultura dei giovani un’educazione emotiva che consenta loro di mettere in contatto e quindi di conoscere i loro sentimenti, le loro pulsioni? Oppure il mondo emotivo vive dentro di loro a loro insaputa, come un ospite sconosciuto a cui non sanno dare neppure un nome?”
Facciamo riferimento, più dettagliatamente, alla cura dell’emotività che prende avvio dal giorno della nascita: il neonato si attacca al seno materno e, insieme al latte, assapora l’accoglienza, l’indifferenza o il rifiuto.
Man mano che si cresce, nella prima infanzia, i genitori tendono a promuovere un’educazione fisica ed intellettuale ma non un’educazione emotiva, cioè dei sentimenti, delle emozioni, delle paure.
“Tra una palestra e un corso di nuoto perché bisogna crescere con un bel corpo, tra una spiegazione ora sbrigativa, ora articolata, ora un po' imbrogliata perché bisogna diventare intelligenti, quanto passa tra genitori e figli di quella comunicazione indiretta per cui si sente nella pancia, prima che nella testa, che del padre e della madre ci si può fidare, perché li si avverte al proprio fianco nei primi movimenti un po' impacciati della vita? Cura del corpo, dell’intelligenza, ma quando cura dell’anima?”, questo l’interrogativo principale del filosofo.
Gli adulti, in tal ambito, annaspano un po' e si diffonde quell’indifferenza emotiva che non permette di avere la risonanza emozionale di fronte ai fatti a cui si assiste o ai gesti che si compiono.
Questo perché manca un’educazione emotiva dapprima in famiglia, e poi a scuola, ed occorre, pertanto, realizzare un’alfabetizzazione emotiva così da insegnare ai bambini non solo la matematica o la lingua italiana, ma anche la capacità di relazionarsi, instaurando rapporti empatici con i loro coetanei.
“Per questo c’è un gran lavoro da fare nell’educazione preventiva dell’anima (e non solo del corpo e dell’intelligenza) per essere all’altezza del nostro tempo, che ha bruciato gli spazi della riflessione, ridotto all’insignificanza quelli della comunicazione, ma soprattutto inaridito il cuore, che è poi l’organo attraverso il quale si sente, prima ancora di sapere, cos’è bene e cos’è male”, queste le significative parole di Umberto Galimberti.
I genitori, sempre più svogliati e disinteressati emotivamente, lasciano i loro figli da soli sin da piccoli, affidandoli alle baby-sitter o alla televisione, così facendoli crescere con un cuore che dapprima invoca attenzione emotiva per poi giocare d’anticipo delusione e cinismo così difendendosi da una risposta d’amore che potrebbe non arrivare mai.
Ecco allora l’importanza di educare emotivamente i giovani attraverso quella forza d’animo che consente loro di essere accettati ed amati per ciò che sono realmente senza dover indossare una maschera.
“Di forza d’animo hanno bisogno i giovani soprattutto oggi perché non sono più sostenuti da una tradizione, perché si sono rotte le tavole dove erano incise le leggi della morale, perché si è smarrito il senso dell’esistenza e incerta s’è fatta la sua direzione. La storia non racconta più la vita dei loro padri, e la parola che i padri rivolgono ai figli è insicura e incerta. I loro sguardi si incontrano, ma spesso solo per evitarsi”, così conclude la sua disamina il filosofo.
I giovani, anche se faticano ad ammetterlo, attendono qualcuno che li traghetti perché il mare che devono attraversare è minaccioso, nonostante all’apparenza possa sembra calmo e sereno, altrimenti rischieranno di trascorrere la loro vita senza sentimento, senza nobiltà, inaridendo il loro cuore incapace di provare emozioni pure e sincere, non riuscendo ad essere se stessi, ma dovendo indossare una maschera pur di essere accettati in una società cinica e spesso anestetizzata emotivamente.
di VALENTINA TROPEA