La questione concernente la didattica, e più dettagliatamente le metodologie di insegnamento nelle scuole italiane, ha dato vita ad un acceso dibattito...
La questione concernente la didattica, e più dettagliatamente le metodologie di insegnamento nelle scuole italiane, ha dato vita ad un acceso dibattito.
Così come evidenziato dal Corriere della Sera, il Report Didattiche 2024 dell’area Ricerca & Sviluppo del Centro Studi Erickson ha analizzato la situazione nella sua globalità, cercando di fornire delle risposte ad alcuni importanti interrogativi al fine di comprendere fino in fondo se gli insegnanti stiano davvero perseguendo la finalità di realizzare una didattica più inclusiva ed efficace, dinamica e basata su forme di apprendimento attivo.
Su un campione finale di 1965 insegnanti, che copre uniformemente tutti i gradi scolastici e le regioni italiane, con un’età media di 45 anni, di cui 1508 femmine e 130 maschi, il 70% dichiara di usare nella maggior parte delle lezioni la didattica frontale, mentre la didattica aperta viene utilizzata nella quotidianità solo dal 13% degli insegnanti intervistati, e il 21% dichiara addirittura di non conoscerla.
Tale dato non ha sicuramente stupito alcuni autori della ricerca come Dario Ianes, docente di Pedagogia dell’Inclusione all’Università di Bolzano, psicologo dell’educazione e co-fondatore del Centro studi Erickson, e Benedetta Zagni (psicologa dell’educazione e ricercatrice Erickson.
«Ci ha invece stupito il dato positivo delle "inseguitrici", ovvero le alte percentuali del secondo, terzo e quarto posto: la didattica laboratoriale, il peer tutoring, l’apprendimento interattivo attraverso l’uso di tecnologie, e il cooperativo», hanno commentato gli autori.
Sicuramente un segnale positivo è dato dall'utilizzo dello del peer tutoring, metodo didattico attraverso cui uno studente più esperto aiuta un compagno di classe a migliorare le proprie competenze, e della didattica laboratoriale.
«Se vogliamo che la didattica frontale ceda il passo e conviva con tecnologie più attive bisogna investire nella formazione dei docenti. Il livello di istruzione gioca infatti un ruolo fondamentale nei confronti dell’utilizzo delle didattiche attive, ecco perché c’è bisogno di un investimento per essere degli innovatori a scuola», spiegano i ricercatori.
Un altro punto intuitivo che emerge dallo studio è che i giovani anagraficamente risultano essere i più tecnologici ma al contempo sono ancora ancorati alla lezione frontale.
Nelle scuole secondarie (I e II grado) si continuano a utilizzare prevalentemente le metodologie tradizionali di didattica frontale o di lavoro e studio individuale tramite i libri scolastici.
Ecco perché i ricercatori hanno optato per una «scuola dell’infanzia approach» per ogni ordine e grado, che stimoli la creatività e il pensiero critico superando la lezione tradizionale del gruppo di classe.
Ed è proprio il professor Ianes ad invitare i docenti della secondaria di secondo grado a svolgere un anno sabbatico nella scuola dell'infanzia per apprendere i meccanismi di apprendimento ed educazione della prima infanzia, perché «sarebbe un bagno, oltreché di umiltà, di competenza didattica ed educativa».
A tale Convegno ha partecipato anche lo scrittore Daniel Pennac che ha così espresso il suo pensiero in merito:
«A scuola abbiamo di fronte sempre alunni e alunne ma non ci ricordiamo mai che sono in primis bambini e adolescenti, non ci rendiamo conto di chi abbiamo davanti, delle caratteristiche evolutive che ci portano a dire: posso pretendere di fare una settimana di lezione 5 ore su 5 la mattina in modo frontale? E’ chiaro che io non ho in mente l’idea di adolescente o l’idea di bambino».
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di VALENTINA TROPEA
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