"Si tratta di una forma di amore egoistico, l'antitesi dell'educazione all'indipendenza e all'autostima, così che il figlio diventa un piccolo "bonsai", incapace totalmente di..."
Essere genitori è una scelta, si sceglie consapevolmente di costruire una famiglia e di dedicare il proprio amore ed il proprio tempo a chi rappresenta la parte più profonda e più bella di noi stessi. Si tratta di un'emozione grandissima eppure non tutti in egual misura riescono a svolgere la loro funzione educativa, ponendo al centro dell'attenzione i figli e non semplicemente se stessi. Un arcobaleno si compone di tanti colori eppure alcuni genitori sembrano non conoscere alcune sfumature, non riuscendo a garantire una crescita armoniosa e consapevole ai propri figli.
L'amore filiale si esprime, alle volte, attraverso due estremi dannosi per la crescita, due differenti modalità.
"Definirei la prima «amor latino». Si tratta di un sentimento che si traduce in una relazione ordita da infiniti ricatti affettivi, in cui amare corrisponde a possedere: madri e padri sentono di essere i padroni dei propri figli, controllandone non più i comportamenti, come accadeva decenni fa, ma il loro mondo affettivo. Infatti oggi questo amore tende ad assumere il più subdolo aspetto di rapporto amicale, dove l'idea di predominio si traveste con una forma di falsa complicità. Un cordone ombelicale infinito che porta a una doppia, reciproca dipendenza: dei figli nei confronti dei genitori e viceversa", così ci spiega in maniera significativa il sociologo e psichiatra Paolo Crepet.
Si tratta di una forma di amore egoistico, l'antitesi dell'educazione all'indipendenza e all'autostima, così che il figlio diventa un piccolo "bonsai", incapace totalmente di progettare e di progettarsi.
Tale egoismo genitoriale, tale legame connotato da dipendenza assoluta dall'altro, non permette la crescita di quel figlio, soffocato da genitori onnipresenti ed epicentrici.
Vi è poi un'altra forma di amore filiale che è complementare: "la chiamerei «amor glaciale» . Nasce dall'esigenza dei genitori di essere precocemente autonomi dai figli, avvertiti spesso come intralcio alla propria personale affermazione sociale e professionale: in questi casi un figlio può comportare perfino una «ferita narcisistica» del genitore, in quanto tende ad accentrare su di sé ogni attenzione spingendo l'adulto nell'ombra", continua lo psichiatra nella sua disamina.
Si delega a baby-sitter, tate, tutori, la funzione educativa e si responsabilizzano precocemente i figli per anticipare freneticamente la loro crescita: ciò genera un vuoto emotivo che il bambino cercherà di colmare attraverso una ricerca spasmodica di affetto.
Ecco allora che per un genitore amare un figlio significa accompagnarlo nel suo cammino, esserci l'uno per l'altro, con la complicità che viene dalla reciproca diversità, dall'esigenza di guardarsi dritto negli occhi senza temere.
Occorre quindi un amore senza possesso, un'appartenenza senza dipendenza, un affetto senza fughe, senza vuoto, senza il cinico e narcisistico ricorso all'abbandono per dire a noi stessi che esistiamo.
Le parole di Paolo Crepet, all'apparenza così scontate, invece racchiudono il senso della vita e di esser genitore: non occorre predominare e neppure essere assenti, occorre accompagnare chi amiamo nel suo cammino, senza essere soffocanti ma presenti con amore e dolcezza, perché il nostro futuro dipende dal modo in cui riusciremo ad educare le nuove generazioni, trasferendo ad esse valori intramontabili ed emozioni ineguagliabili.
di VALENTINA TROPEA