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Crepet, per affrontare le “increspature della propria anima” serve un viaggio interiore che richiede tempo, dedizione e pazienza. Occorre saper ascoltare e comprendere davvero chi ci sta dinanzi

Ci ritroviamo alla “fiera dell’ansia, dell’angoscia, del turbamento mentale”, così come evidenziato dal sociologo Paolo Crepet, senza però complicità o empatia...

Tutto ciò che ci portiamo dentro è sempre molto difficile da estrinsecare, comprendere, scandagliare. Si tratta di un “nucleo di sofferenza” che ciascuno di noi custodisce gelosamente e non è semplice esprimere ciò che ci rattrista, che ci determina disagio o semplicemente che ci sconvolge determinando uno status confusionale.

Ecco perché spesso ci si reca presso un professionista, psicologo o psicoterapeuta, per poter affrontare le “increspature della propria anima”, cercando di far emergere il proprio dolore interiore, così da comprendere bene quale sia il motivo di tale disagio e le cause che lo hanno determinato.

Un viaggio interiore che richiede tempo, dedizione, pazienza ma soprattutto ascolto. Occorre saper ascoltare e comprendere davvero chi ci sta dinanzi: solo attraverso l’ascolto e la comprensione si potrà aiutare chi si trova in difficoltà.

Tale attività però non deve essere svolta necessariamente da un professionista, psicologo o psicoterapeuta, perché potremmo ritrovarci a confidarci con un amico, un fratello, un conoscente e questo potrebbe determinare sollievo, almeno in un primo momento.

Su tale aspetto si sofferma il sociologo e psichiatra Paolo Crepet, nel suo libro “Mordere il cielo”. A tal riguardo sottolinea come il mondo sia cambiato anche sotto questo aspetto: oggi è possibile intraprendere un percorso di psicoterapia senza recarsi materialmente presso uno studio professionale ma a distanza o addirittura sui social che “trasformano il disagio in materia di comunicazione”.

“Un po' come se la nostra intimità non dovesse essere più contenuta, ma merce esposta come un prodotto in vetrina”, dichiara espressamente Crepet.

Ad oggi si assiste ad una teatralità mediatica, una spettacolarizzazione di massa, ognuno di noi si ritrova ad esprimere la propria rabbia, il proprio disagio, il proprio dolore interiore.

Si tratta di una vera e propria “fiera dell’ansia, dell’angoscia, del turbamento mentale”, così come evidenziato dal sociologo Paolo Crepet, senza però complicità o empatia ma si tratta di una condivisione “anestetizzata”.

A tal proposito lo psichiatra Crepet si sofferma sul diffondersi del disagio psicologico tra i più giovani.

Sembra proprio che vi sia stato un incremento del disagio mentale tra le nuove generazioni nel periodo Covid: quell’isolamento forzato in cui si sono ritrovati milioni di bambini ed adolescenti ha sicuramento determinato delle ripercussioni ed un cambiamento della qualità della vita.

La situazione è andata però a migliorare grazie alla riapertura delle scuole, luogo di incontro, aggregazione, ma soprattutto di condivisione.

Sicuramente non è possibile però ricondurre ogni malessere psichico giovanile alla pandemia, visto che ormai sono trascorsi degli anni.

La fragilità è intrinseca nell’età giovanile, questo è un aspetto importante da comprendere e quando si esprime un dolore interiore, un disagio che ci logora e ci affligge, allora “la reazione degli adulti è di sconcerto”.

“C’è chi si sente in imbarazzo di fronte al loro dichiarato disagio, un senso di colpa che affligge la generazione dei genitori e degli educatori rendendoli poco autorevoli”, così duramente sostiene Crepet.

Ci si ritrova alle prese con genitori iperprotettivi che cercano “di appianare i conflitti”, si adoperano per scoprire quali siano le motivazioni per le quali i loro figli si ritrovano in difficoltà, senza però soffermarsi davvero sulle increspature delle loro anime, senza un vero dialogo.

Ed ecco allora che anche la scuola diviene un luogo che può mettere a repentaglio la salute mentale dei giovanissimi, fonte di stress ed angoscia a causa dei voti e delle pagelle.

“Non più una scuola rigorosa, ma ubiquitariamente riconosciuta come luogo, ovvero la fabbrica, in cui si esprime il più intenso malessere psicologico, dall’insopportabile stress a forme preoccupanti di depressione”, così pone l’accento su tale aspetto Paolo Crepet.


Tuttavia si tratta solo di un malessere e di un disagio che si manifesta nelle ore di scuola, mentre sembra scomparire quando i giovanissimi escono, incontrano gli amici, si divertono, senza alcuna responsabilità o preoccupazione: uno star male a singhiozzo.

In realtà ciò che si dovrebbe far comprendere alle nuove generazioni è che le persone speciali, quelle talentuose, sono sempre le più sensibili, quelle più fragili. La sensibilità è un po' un’arma a doppo taglio: se da un lato permette di carpire mille sfaccettature e di intravedere ciò che gli altri neppure riescono a scorgere, dall’altro lato però ci rende estremamente vulnerabili ed ogni emozione si vive in maniera amplificata senza alcuna mediazione.

Il messaggio da trasmettere ai più giovani deve essere chiaro ed inequivocabile: la strada del talento è connotata dall’ambizione, dal successo, dalla gioia ma anche da mortificazioni, cadute e fallimenti.


“La crescita psicologica in età evolutiva prevede domande, increspature, pieghe che chiedono empatia e non necessariamente decodificazioni cliniche”, così Crepet afferma senza un minimo di esitazione.

In definitiva quindi genitori ed insegnanti, nello svolgimento della loro funzione educativa, devono riappropriarsi della loro autorevolezza, permettendo ai giovani di cadere e rialzarsi da soli, perché non è possibile sempre appianare o semplificare il loro cammino.

Occorre essere ambiziosi, creativi, seguire i propri sogni e le proprie passioni, consapevoli che il tempo scandisce ogni attimo della nostra esistenza e solo la dedizione consente di raggiungere risultati notevoli anche se occorrono sacrifici, privazioni e tanta tenacia per poter imparare l’arte del vivere.


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di VALENTINA TROPEA




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