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Crepet, occorre che i giovani ritornino gradatamente a vivere, ad emozionarsi, a sentire. Solo le emozioni più contrastanti aiutano a crescere senza farsi mai annullare dalla paura

Aggiornamento: 25 ott

“L’alfabetizzazione delle emozioni non può che partire dalla piena riacquisizione di tutti i nostri sensi. La famiglia e la scuola devono aiutare il bambino a prendere possesso di questa sua..”

L’attività lavorativa connota una parte rilevante del nostro tempo e senza accorgercene questo spesso comporta dei sacrifici: si trascurano le relazioni sentimentali e si assiste ad un “panorama affettivo molto inaridito”.

L’analfabetismo emotivo, sul quale si sofferma il sociologo e psichiatra Paolo Crepet, rappresenta un aspetto invalidante sia per gli adulti che per i giovani, l’assenza di emozioni finisce con renderci aridi e privi di sensazioni.

“Perché i bambini di oggi possano essere uomini e donne sentimentali di domani occorre che la scuola non sia più finalizzata unicamente alla costruzione di un’identità basata sul lavoro ma anche sul non lavoro. Gli insegnanti dovrebbero educare i loro bambini a perdere felicemente e senza sensi di colpa il loro tempo”, queste le parole dello psichiatra.

Ciò che occorre comprendere fino in fondo è come i nuovi mezzi di comunicazione, attraverso l’avvento del progresso, abbiano completamente modificato e sovvertito il nostro modo di relazionarci, prediligendo appunto una relazione algida e virtuale ad una invece basata sulla vicinanza fisica e sull’affetto reciproco.

L’affettività degli adolescenti si è profondamente trasformata. Occorre quindi una nuova metodologia pedagogica che sia in grado di farci riscoprire cosa siano le emozioni, le sensazioni.

“L’alfabetizzazione delle emozioni non può che partire dalla piena riacquisizione di tutti i nostri sensi. La famiglia e la scuola devono aiutare il bambino a prendere possesso di questa sua enorme potenzialità, troppo spesso inibita e rimossa”, sottolinea Crepet nella sua riflessione.

I genitori hanno completamente dimenticato cosa significhi abbracciare, accarezzare, baciare i loro figli, convinti che la comunicazione presupponga solo il dialogo e l’ascolto, non richiedendo nient’altro.

Perfino il dolore e la morte vengono espulsi dal mondo affettivo del bambino, così da evitare qualsiasi evento traumatico o dolore ritenuto superfluo.



In realtà i nostri figli hanno paura delle paure degli adulti e, nonostante questo gioco di parole, tutto ciò rende i giovanissimi sempre più fragili, incapaci di elaborare qualsiasi dolore, ovattati e cresciuti in un mondo dove tutto è edulcorato o semplicemente estremamente facilitato.

Ed allora sono proprio le emozioni più intense, le paure, la capacità di metabolizzare i momenti più difficili, che permettono di conoscere i nostri limiti, di misurarci con la delusione, ma allo stesso modo di crescere, riappropriandoci della nostra identità.

Non è semplice ristabilire un equilibrio spesso molto instabile ma occorre gradatamente ritornare a vivere, ad emozionarsi, a sentire; occorre riempire quel vuoto che ci attanaglia e che spesso non ci permette di vivere serenamente.

I giovanissimi necessitano di guide e porti sicuri: educatori, genitori ed insegnanti, svolgono un ruolo fondamentale nel loro percorso di crescita, supportandoli nelle loro scelte ed aiutandoli a comprendere fino in fondo come superare i momenti più difficili così da non lasciarsi mai travolgere o annullare dalla paura.

Non bisogna mai desistere, occorre perseveranza e determinazione per poter riscoprire la propria forza: solo in questo modo i giovani impareranno a gestire le emozioni più contrastanti senza percepire quel senso di inadeguatezza o smarrimento ma anzi avendo già sperimentato delle soluzioni alle problematiche che si presenteranno nella loro vita.


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di VALENTINA TROPEA




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