Crepet, il coraggio di un genitore o di un insegnante è nel credere e dare fiducia a chi ancora non è emerso e non ha nemmeno dato segnali di un futuro luminoso. Occorre prendersi cura di tutti...
- La Redazione
- 12 mar
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 13 mar
"D’altronde le nuove generazioni potrebbero essere equiparate a dei fiori che potranno aprirsi e sbocciare solo se si troverà il coraggio della fiducia, il coraggio di credere in un..."

Prendersi cura dei giovanissimi, dedicando loro le giuste attenzioni e le opportune cure, non è un compito sempre agevole e di facile attuazione: d’altronde le nuove generazioni potrebbero essere equiparate a dei fiori che potranno aprirsi e sbocciare solo se si troverà il coraggio della fiducia, il coraggio di credere in un futuro migliore.
“Il grande coraggio consiste nel credere in chi ancora non è emerso e non ha nemmeno dato segnali e mostrato premesse per un domani luminoso. Facile per un genitore o un insegnante premiare un giovane che abbia già collezionato voti e prestazioni strepitose, molto più complicato incoraggiare chi è appena scivolato nella polvere di un insuccesso, ma ha comunque dimostrato tenacia, disposizione a una disperata cocciutaggine”, queste le parole del sociologo e psichiatra Paolo Crepet attraverso le quali si dà inizio ad una disamina pregna di significato.
Colui che è in grado di scoprire il talento, infatti, sa di dover dare fiducia a chi è ancora parzialmente irrisolto e sono davvero pochi gli adulti dotati di tale speciale sensibilità, di tale attitudine nel cogliere piccoli ed apparentemente insignificanti dettagli.
“Spesso gli insegnanti applaudono i primi della classe e dimenticano e puniscono gli ultimi, eppure c’è molta fragilità tra i primi così come può esserci molto talento tra i backbencher”, così continua la sua riflessione lo psichiatra senza alcuna esitazione.
Paolo Crepet intende, pertanto, riabilitare la «pedagogia degli ultimi» per un «diritto universale alla felicità».
“Vorrei, cioè, dare considerazione pure a chi non si conforma, a chi non si sottomette ai precetti altrui, tentando di elaborarne di propri. Gli adulti dovrebbero possedere la sensibilità di individuare potenziali capacità non solo tra i primi banchi o tra i figli più arrendevoli, ma anche tra chi si allontana, uscendo dal gruppo e dalle consuetudini”, in tal modo Paolo Crepet evidenzia il compito che dovrebbe svolgere un educatore, fungendo da esempio, così da trasmettere alle nuove generazioni l’importanza di migliorarsi sempre, senza mai desistere.
Alcuni genitori, invece, sono attratti da un talento che lo stesso Crepet definisce «contronatura»: hanno sviluppato l’idea di essere sempre e comunque più bravi dei propri figli, tendendo a svalutare chi hanno messo al mondo, accrescendo la loro disistima.
Si erode l’autostima di un figlio svilendo quest’ultimo in varia misura: criticandolo per aspetti fisici o caratteriali, riprendendolo e correggendolo in continuazione, anche e soprattutto quando non ce ne sarebbe bisogno.
“Svilire è l’esatto opposto di educare; è imporre una silenziosa zavorra che per qualcuno/a diventerà parte della propria vita, un’incertezza continua, un’insicurezza che accompagnerà ogni nuova idea, ogni nuova iniziativa”, così come ci spiega lo psichiatra molto dettagliatamente.
Ma anche il contrario dello svilire può comportare delle conseguenze estremamente negative: “esaltare senza vero un motivo, magnificare, glorificare un figlio al primo gol, una bambina al primo volteggio in tutù, stravedere per un sette all’interrogazione”.
L’educazione, invero, richiede sobrietà e quindi non occorre svilire o mitizzare un figlio o una figlia ma occorre sovrintendere alla loro crescita rimanendo qualche passo indietro, senza indurre sfiducie precoci o ammirazioni non meritate.
La funzione svolta da un educatore, in qualità di genitore, è fortemente intrisa di responsabilità proprio perché spesso gli adulti non si rendono conto di come le loro parole, i loro atteggiamenti, possano avere delle ripercussioni negative sulla crescita dei loro figli, mettendo a repentaglio la loro identità, e così trasformando quei giovani ragazzi in adulti insicuri, vulnerabili, spesso alla ricerca di una parola di conforto, all’insegna di un diritto che è stato loro negato troppo precocemente.
di VALENTINA TROPEA
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