"Sarebbe interessante che a scuola si valutasse un bambino o un adolescente anche per il carattere che esprime e per il coraggio che dimostra. Basterebbe sanzionare i comportamenti più..."
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"La vita vissuta come uno schermo. Distacco emotivo, indifferenza totale": è questo il sintomo ormai più diffuso nella collettività dei giovani, sintomo sul quale pone l'attenzione non solo nei suoi libri, ma anche nel corso delle sue conferenze, il sociologo e psichiatra Paolo Crepet, proprio a voler sottolineare e mettere in luce come nella realtà quotidiana gli adolescenti si esprimano sempre più attraverso il linguaggio della violenza.
Crepet parla a tal proposito di "un'involuzione culturale e comportamentale delle nuove generazioni" trasmessa dai genitori ai figli che fa della violenza un linguaggio universale. Ma, come evidenzia lo stesso psichiatra, la cosa ancor più grave è data dall'indifferenza. I giovani sono indifferenti ai gesti di violenza ed ai bisogni altrui poiché dalla loro educazione è stata eliminata la cognizione del dolore. Occorrerebbe, pertanto, insegnare ai più piccoli come riconoscere la frustrazione ed il senso della caduta piuttosto che consentire loro di lamentarsi quotidianamente anche per le sfide più banali alle quali la vita li sottopone.
Tuttavia occorre prendere atto di come i genitori abbiano seminato un'idea di crescita autarchica secondo cui un uomo è già completo e possiede tutto ciò che gli è necessario, così alimentando una visione dei rapporti con i propri simili in cui la necessità dell'altro diviene secondaria. Invece, come ci insegna Crepet, le relazioni interpersonali costituiscono dei "pilastri sui quali si erigono i nostri saperi. E così, quando dei giovani autarchici e indifferenti si mettono in gruppo, ciò che producono è soltanto regressivo. Se si insegnasse ad un bambino a vivere le proprie relazioni con complicità, lo si salverebbe dalla tendenza a provare disprezzo per ciò che non rientra nella propria privata appartenenza".
In tale prospettiva il coraggio va inteso come un'inversione di tendenza: occorre credere che solo insieme agli altri uomini si possano creare aspettative. Purtroppo tutto ciò non accade, ed anzi si assiste alla c.d. pax familiaris, e cioè i figli non contraddicono i genitori, nel passaggio generazionale, poiché ritengono che nel contraddirli ci sarebbe poco da guadagnare in termini di autonomia. Oggi, chi è dotato di coraggio viene considerato come un corpo estraneo.
"Sarebbe interessante che a scuola si valutasse un bambino o un adolescente anche per il carattere che esprime e per il coraggio che dimostra. Basterebbe sanzionare i comportamenti più codardi: chi accusa qualcuno senza assumersi la responsabilità dell'atto, chi si cela dietro l'anonimato, chi fa la spia. O, in maniera opposta, sarebbe sufficiente premiare l'allievo che manifesta un pensiero divergente da quello degli altri, anche se non del tutto condivisibile", queste le significative parole di Paolo Crepet.
Ecco allora l'importanza di un buon educatore capace di insegnare agli allievi più timidi e timorosi che non bisogna avere paura di essere se stessi e che il coraggio delle proprie idee rappresenta la strada maestra.
"Fondamentale è l'educazione che si pone l'obiettivo di far crescere persone che trovino la forza di pensare che nel mondo in cui vivranno ci sarà sempre spazio per chi possiede carattere e coraggio, e sempre meno per chi coniuga l'indifferenza con la codardia", così conclude la sua disamina lo psichiatra.
Occorre, quindi, far riscoprire ai giovani la bellezza di essere se stessi, senza alcun timore o tentennamento, portando avanti con coraggio e determinazione le proprie idee e convinzioni, agendo responsabilmente ed avendo contezza delle proprie azioni, così da instaurare delle relazioni empatiche e combattere con fermezza l'indifferenza e la codardia.
di VALENTINA TROPEA