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Crepet, genitori ed insegnanti hanno un ruolo e una responsabilità: "la competizione non è per tutti e non seleziona i migliori, solo i meno sensibili"

Si cerca di massimizzare il concetto di “educazione competitiva”: scuola e famiglia si sono alleate per richiedere ai giovani la perfezione, l’assoluto…

In un panorama nel quale si assiste sempre maggiormente ad una vera e propria “crisi educativa”, nell’ambito della quale gli educatori sembrano aver perso il loro ruolo guida e la loro autorevolezza, appare opportuno riscoprire l’importanza della funzione educativa svolta da genitori ed insegnanti, maestri di vita e detentori di una grandissima responsabilità nei confronti delle nuove generazioni.

A tal riguardo occorre volgere lo sguardo verso il pensiero critico di Paolo Crepet, sociologo e psichiatra che, attraverso il suo libro “La gioia di educare”, fornisce delle utili indicazioni in merito.

Basta guardarsi un attimo attorno ed è possibile scorgere immediatamente genitori che si sono trasformati in adulti competitivi, cinici, che credono che nella vita l’importante sia vincere e primeggiare, considerando lecito ogni mezzo per centrare quell’obiettivo.

Il raggiungimento dello scopo presuppone l’imposizione di alcuni emblemi del successo: potere, soldi, sfoggio del superfluo, arroganza, violenza, così come sottolineato da Paolo Crepet.

Non vi è più spazio per etica e morale e perfino la valutazione del merito diventa improduttiva e superflua.

Ad oggi però la funzione educativa di genitori ed insegnanti sembra essere in declino e le ripercussioni negative finiranno con il manifestarsi nel medio lungo termine.

Si pensi, ad esempio, alla domenica mattina: i campetti di calcio sono gremiti di genitori che a bordo campo incitano animosamente i propri figli come se fossero ad una finale olimpica.

“Forse alcuni adulti ritengono che la scuola - e la vita più in generale-     debba insegnare a emergere fin da bambini. Credono che la verifica di questa capacità rappresenti una sorta di garanzia. Ma essere bravissimi nella prima parte della vita non porta automaticamente a eccellere nella seconda”, sostiene Crepet senza alcuna esitazione e sulla base di una profonda riflessione.

Si cerca di massimizzare il concetto di “educazione competitiva”: scuola e famiglia si sono alleate per richiedere ai giovani la perfezione, l’assoluto.



Più nello specifico potremmo parlare di “primi della classe” o ancor meglio di “bambini Abarth”. Si pensi alle Cinquecento o alle Seicento che negli anni Settanta venivano truccate: all’esterno normalissime utilitarie ma all’interno presentavano motori truccati e roboanti.

I bambini Abarth si caratterizzano per il loro cervello truccato per poter andare sempre al massimo: devono non solo essere i primi della classe a scuola, ma anche eccellere in ogni ambito.

Molti insegnanti condividono a tal punto questo dissennato disegno di distruzione della spontaneità dei bambini da aver forgiato frasi celebri del tipo «Suo figlio è intelligente ma può fare di più». Ed allora ci si chiede: “Ma se un bambino o un adolescente è intelligente, non basta?”

Si tratta di bambini/adolescenti che non hanno il diritto di sbagliare, non possono vivere la loro vita normalmente e sono così esposti ad un notevole rischio psicologico.

Di solito sono figli poco amati o il cui amore è condizionato al rendimento, al raggiungimento di determinati risultati, alla presunta perfezione.

“Il danno psicologico più consistente non deriva solo dall’essere costretti a primeggiare nello studio per venire amati e accettati, ma anche dall’errore madornale che quei genitori commettono affidando al rendimento scolastico la valutazione complessiva del loro figliolo”, dichiara Paolo Crepet.

Alle volte però può accadere che il cervello “truccato” dei giovani Abarth possa anche bloccarsi e così le conseguenze diventano devastanti: l’affetto dei propri cari sembra essere perduto e quei ragazzi iniziano a disprezzarsi, pensando di aver fallito.

“Genitori ed insegnanti hanno un ruolo e una responsabilità: la competizione non è per tutti e non seleziona i migliori, solo i meno sensibili”, ribadisce lo psichiatra a gran voce.


Ed allora occorre andare oltre, volgere lo sguardo verso un futuro meno omologato o appiattito ma ricco di creatività e di stimoli per le nuove generazioni, nel quale coltivare passioni, emozioni, relazioni affettive. Occorre che genitori ed insegnanti riscoprano la gioia di educare, il desiderio di accompagnare i giovanissimi nel loro cammino, indicando la strada giusta da percorrere, senza imporre condizioni o limiti, ma solo ed esclusivamente con il desiderio di essere da supporto ed ausilio nella loro crescita educativa, personale ed emotiva.


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di VALENTINA TROPEA




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