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Crepet, “l’educazione non può essere democratica perché un alunno non ha, né può avere, lo stesso peso e ruolo di un genitore o di un insegnante”

Aggiornamento: 4 giorni fa

“La continua ricerca di approvazione ha reso fragili le nuove generazioni di educatori agli occhi dei loro stessi allievi, rinunciando addirittura alla dignità di una..."

Con il passare del tempo il concetto stesso di “educazione” ha subito una profonda trasformazione, un cambiamento, sinonimo di molteplici fattori culturali, storici, sociali.

Addirittura potremmo affermare che l’idea stessa di educazione sta attraversando una crisi, un declino e così il sociologo e psichiatra Paolo Crepet, nel suo libro “Mordere il cielo”, si interroga sulle motivazioni in base alle quali si è verificato tale fenomeno.

La relazione intercorrente tra educandi ed educatori è sempre difficile da definire: si tratta di una relazione molto articolata e complessa.

Crepet, al riguardo, inizia la sua riflessione facendo riferimento a Benjamin Spock, che si era laureato in medicina, specializzato in pediatria e psicologia alla Columbia University, e che può essere definito il più noto “puericultore” del dopoguerra: grazie a lui cambia il modo di vedere e gestire il rapporto fra genitori e bambini, grandi e piccoli.

Spock elaborò delle sue teorie e scrisse un libro, considerato ancora oggi quasi una Bibbia dell’educazione, che ebbe grande successo, tale da permettere la vendita di più di 50 milioni di copie nel mondo. Il suo libro, The Common Sense Book of Baby and Child Care, divenne ben presto un manuale per orientare educatori e genitori, in particolar modo le mamme.

Fu proprio Benjamin Spock a porre l’accento su un aspetto molto diffuso nel mondo occidentale: lo stile educativo si basava sull’autoritarismo paterno, forme rigide di patriarcato che avevano finito con l’oscurare e sottomettere la figura femminile delle madri.

Si giunge così alla conclusione che occorreva superare il dogma dell’autoritarismo per giungere ad una “sacralizzazione della madre”: si pone la necessità di proporre un metodo educativo antiautoritario, basato sulla comprensione e la sensibilità, ponendo al centro il bambino.

A tal riguardo si fa l’esempio dei neonati, allattati in principio dalle puerpere: prima erano le madri che sceglievano quando allattare i propri figli, stabilivano pedissequamente il momento della poppata, mentre adesso si sviluppa l’idea che il bambino deve essere posto al centro dell’attenzione e quindi è il suo vagito che determina quando dover somministrare il nutrimento.

Ma se ciò rappresentò sicuramente un passo in avanti nella gestione del rapporto educativo intercorrente tra genitori e figli, alla stessa maniera, però, determinò anche delle conseguenze negative: un eccesso di zelo.



In altri termini, sottolinea Crepet, “l’ascolto, la sensibilità non significano sudditanza, obbligo morale, ma impongono discernimento da parte dell’educante, della mamma, di chiunque abbia un legame con quel bebè che diventerà presto un bimbo potenzialmente dispotico”.

Con il passare degli anni si sviluppò così l’idea che educare significasse accondiscendere, assecondare, eseguire ed il passaggio dal dispotismo genitoriale alla resa fu rapido e veloce.

Si ambiva a diventare “educatori democratici”, mettendosi alla pari dei propri figli, ma ciò determinò un vero e proprio servilismo genitoriale.

 “Forse sarebbe stato sufficiente capire che l’educazione non può essere democratica perché un bambino non ha, né può avere, lo stesso peso e ruolo di un genitore, e viceversa”, così ribadisce Paolo Crepet nel suo libro.

Benjamin Spock voleva solo che un bambino fosse rispettato e non adorato come una divinità: la sua idea così innovativa venne però distorta e dall’autoritarismo si passò all’assoluta tolleranza.

Le nuove generazioni di educatori hanno completamente sovvertito l’idea stessa di educazione: si è convinti che per essere dei bravi genitori occorra divenire degli “educatori democratici”, un po' come se l’accondiscendenza possa porre rimedio a qualsiasi male, una perdita di autorevolezza che ha determinato gravi conseguenze ai danni degli educandi stessi.

“La continua ricerca di approvazione ha reso fragili le nuove generazioni di educatori agli occhi dei loro stessi allievi, rinunciando addirittura alla dignità di una regola, di un’opposizione, di un conflitto, come se confrontarsi, anche in maniera netta, fosse sinonimo di arrendersi”, così ribadisce Crepet in maniera significativa e pregnante.

Ed allora si comprende come l’educazione non possa essere “democratica”, occorre autorevolezza nella giusta misura, senza ricadere in quell’autoritarismo sterile del passato ma con la consapevolezza che la crescita richieda la presenza di educatori capaci di saper dire di no: avere una visione contrapposta è infatti sinonimo di coraggio, presenza ma soprattutto confronto. Solo in questa maniera sarà possibile una crescita consapevole cosi che le nuove generazioni possano comprendere il valore di ogni cosa, l’importanza del sacrificio, della dedizione, del lavoro per poter ottenere degli ottimi risultati, consci che nella vita nessuno regala niente a nessun’altro. La crescita formativa dei giovanissimi presuppone una maturazione interiore e soprattutto la presenza di educatori che sappiano indicare la giusta strada da percorrere, senza facilitare il cammino ma anzi ponendo anche dei limiti perché non tutto è concesso, non tutto si ottiene semplicemente avanzando pretese ma l’arte del vivere presuppone molti inciampi e bisogna imparare a cadere per poi saper rialzarsi.


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di VALENTINA TROPEA




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