La morte di Giovanni Falcone rappresenta paradossalmente l’inizio della fine per Cosa nostra. Scossa dal tritolo di Capaci, Palermo si risveglia, scende in piazza e grida forte il suo no alla mafia...
«Credo che ognuno di noi debba essere giudicato per ciò che ha fatto.
Contano le azioni non le parole». Giovanni Falcone
La strage di Capaci
Il 23 maggio 1992, Giovanni e la moglie Francesca, di ritorno da Roma, atterrano a Palermo con un jet del Sisde, un aereo dei servizi segreti partito dall’aeroporto romano di Ciampino alle ore 16,40. Tre auto blindate li aspettano. È la scorta di Giovanni, la squadra che ha il compito di sorvegliarlo dopo il fallito attentato del 1989 dell’Addaura.
Dopo aver imboccato l’autostrada che porta a Palermo, all’altezza dello svincolo di Capaci, una terrificante esplosione disintegra il corteo di auto e uccide Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.
La rinascita
La morte di Giovanni Falcone rappresenta paradossalmente l’inizio della fine per Cosa nostra. Scossa dal tritolo di Capaci, Palermo si risveglia, scende in piazza e grida forte il suo no alla mafia.
Il 19 luglio del 1992, a 57 giorni dall’attentato, la mafia torna ad alzare il tiro e uccide Paolo Borsellino, collega e amico di una vita di Falcone, e la sua scorta.Lo Stato decide di fare sul serio nella lotta alle cosche.
Tutti i più grandi latitanti, tranne il boss Matteo Messina Denaro, sono in prigione e l’azione della magistratura e delle forze dell’ordine non si è mai fermata.
Nella società è certamente cresciuta e si è consolidata una coscienza antimafiosa. Un risorgimento civile che, però, deve essere tenuto vivo. Nella guerra allo Stato la mafia è pronta ad approfittare di ogni indecisione. Per questo è fondamentale l’impegno delle istituzioni e, soprattutto, la vigilanza della società.
Spetta a tutti noi mantenere alto l’esempio lasciato da Giovanni Falcone e portare avanti la lezione di legalità e di amore per lo Stato che il magistrato ci ha lasciato.
Ed è per questo che oggi tutti, MA PROPRIO TUTTI, devono commemorare e rivolgere alla storia la dovuta attenzione. In particolar modo deve farlo la scuola. La scuola deve dare l'esempio mettendo al primo posto la memoria, rimandando tutti gli altri impegni.
Un giorno in cui attestare, anno dopo anno, che Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito SchifanI, non sono morti ma che sono vivi nella nostra memoria e soprattutto nei nostri gesti. Proprio perché, per dirla con le parole del Giudice Falcone, «Credo che ognuno di noi debba essere giudicato per ciò che ha fatto. Contano le azioni non le parole».
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di LA REDAZIONE
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